“So di non sapere”, pronunciò Socrate dinanzi alla giuria che lo avrebbe poi condannato a morte. Questa affermazione rappresenta il fulcro del suo pensiero: un’aspra critica rivolta contro i sofisti, i quali pretendevano di possedere la conoscenza, essendone addirittura convinti.
Un atteggiamento simile a quello dei tuttologi odierni, persone che proliferano in ogni dove, presumendo di sapere tutto e di avere sempre un’opinione su qualsiasi argomento. L’avvento dei social media ha amplificato questo fenomeno a livelli impressionanti.
Socrate sa bene da dove partire: la consapevolezza di non sapere. Questa consapevolezza è un invito a conoscere, ad indagare, per imparare e andare oltre quel mondo ordinario del conosciuto. Chi crede di sapere ogni cosa segue uno schema prestabilito. In altre parole, non indaga, non sperimenta, non scopre, non conosce e non si pone domande. Perciò rimane fermo, immobile e statico, attinendo esclusivamente dalla propria memoria.
“Ogni nuova scoperta della scienza non fa che confermarci che le cose che riusciamo a percepire e a comprendere sono solo un frammento infinitesimale di tutto l’esistente, eppure questo non ci impedisce di ergerci spocchiosi a giudicare quello che non riusciamo a incastrare dentro uno dei nostri confortevoli recinti. L’infinita presunzione dell’essere umano.”
(Dal mio libro “La cattiva abitudine di essere infelici“)
Ecco perché ritengo che il “non sapere” sia la forma più alta di pensiero. Esso, infatti, apre un varco nella nostra mente, permettendole di esplorare nuovi territori e di scoprire nuove verità.
Riflettiamo: perché la nostra mente non compie mai vere scoperte? Perché è prigioniera di tutte le impressioni e le conoscenze che si sono accumulate al suo interno. Nel processo di pensiero e ragionamento, siamo inevitabilmente condizionati dal bagaglio di memorie e sapere che possediamo, frutto di tutte le influenze subite nel corso della nostra vita. Lentamente, accettiamo questo stato di condizionamento come inevitabile, e l’energia della nostra mente ne risente. Essa si indebolisce e perde vitalità, limitandosi ad accumulare una quantità sempre maggiore di informazioni, senza però trarne reale beneficio.
Certo, possiamo disciplinare la mente e levigare la nostra conoscenza, rendendola più lucida. Tuttavia, rimarremo sempre confinati nel regno del già noto. Come possiamo dunque trascendere questo modo di pensare, per far emergere qualcosa di nuovo, di originale, che non sia il mero risultato di una ricerca nella memoria?
Dobbiamo liberarci da ogni condizionamento, e in questo caso, è fondamentale smetterla di affidarci ciecamente al nostro sapere. Non che il sapere non sia importante, non fraintendete, ma nel momento in cui intendiamo oltrepassare i nostri limiti, il “so di non sapere” diventa ancora più importante del sapere stesso. Solo allora possiamo giungere alla consapevolezza che il non sapere è la forma più alta di pensiero. Dobbiamo provare, per una volta, a rimanere nella sospensione del giudizio, senza risposte. Imparare a osservare con mente aperta, senza pregiudizi, liberi da pensieri e parole. È questo il vero atto che libera, che apre un varco, che porta a un pensiero nuovo, a una mente nuova.
E questa energia nuova può comparire solo se ci si impegna costantemente a vedere, ad ascoltare, a domandare. Non la si troverà mai nel conoscere con la mente pensante. Ciò che intendo è che dobbiamo dedicare la nostra completa attenzione alla domanda che ci sta di fronte; l’attenzione non sarà totale se cerchiamo una risposta.
Se riconosciamo con tutto il nostro essere che “sappiamo di non sapere”, non faremo più affidamento sulla memoria per trovare una risposta. A quel punto, e solo a quel punto, saremo liberi dal condizionamento, dalla prigione della memoria, e avremo una percezione diretta di ciò che sta al di là di essa.
18 commenti
Mi piace! Stimolante come una “superficie bianca” illimitata che invita a riempirla con forme colori immagini pensieri…
Rosita F.
Grazie Rosita per essere passata da qui e per questo tuo commento che apprezzo molto. Spero di averti ancora come lettrice.
UN MESSAGGGIO CHE MI HA COLPITO PERCHè CREDEVO DI SAPERE MOLTO E MI SONO ACCORTO DI NON SAPERE NIENTE E PER DI PIU’ RISULTARE ANTIPATICO A CHI MI LEGGE..UMILTA’ E’QUESTA LA
PAROLA GIUSTA.
Umiltà e volontà, nel sapere non ci sono traguardi da raggiungere, non ci sono trofei da vincere. È un percorso per arricchirsi, in silenzio.
Io sono curiosa mi piace ascoltare guardare memorizzare tutto quello che conta per me.
Il tuo è un approccio che non solo ti permette di imparare molto, perché le cose migliori le impari proprio osservendo, ma ti permette anche di arricchirti di infiniti dipinti quotidiani.
Ottimo!!!!!!!!!!!
Grazie Ernesto.
‘La frase ‘apre un varco, che porta un pensiero nuovo’ è molto significativa. Occorre umiltà, affinché si possa aprire un varco … e solo allora il pensiero nuovo si radicherà nella mente!
Pienamente d’accordo con te Anna, ci vuole umiltà e un lavoro di auto-contestazione per creare un varco che permetta di aprirsi a ciò che ancora non conosciamo di noi stessi, dell’altro, e delle nostre potenzialità.
Questa frase assieme ad un’altra dell’Alfieri ( volli fortissimamente volli )sono il mio mantra.
La citazione esatta dovrebbe essere “Volli, sempre volli e fortissimamente volli”.
Complimenti per l’articolo. Io trovo estremamente interessante “l’uomo è misura di tutte le cose” e al contempo il “so di non sapere”. Entrambi mi danno spunto di riflessione e mi entusiasmano. Secondo lei possiamo far convivere i due pensieri? Grazie per una eventuale risposta.
Ciao Dario, l’asserzione di Protagora è piuttosto in linea con quella di Aristotele, in quanto entrambe invitano a sperimentare e a non fidarsi di ciò che viene calato dall’alto. Entriamo in un discorso di soggettività che può valere anche con le parole, Pirandello ci ha insegnato che noi possiamo intendere qualcosa e chi sta dall’altra parte può non comprendere il significato che attribuiamo alle parole. In questo caso c’è da intendere cosa Protagora intendesse per “uomo” e “cose”.
Grazie a te per essere passato da qui.
Il sapere che manca non va certo riferito alla semplice erudizione, quella che insegnano nelle scuole di oggi (forse oggi non insegnano neanche più quella). Il sapere che manca è quello della realtà in cui viviamo : una realtà che è metafisica, trascendente, che riguarda l’essenza del cosmo e dell’Universo. Pochi possiedono questo tipo di conoscenza, e a quanto pare non la conosceva neppure Socrate, nonostante avesse pronunciato la famosa frase. Chi volesse conoscere questo tipo di realtà dimostrerebbe già solo con ciò di averne la nozione, il che sarebbe non poco, per la nostra umanità che è fondamentalmente ignorante e non sa di esserlo ! (scriverò qualcosa su questo argomento…)
Concordo con quanto asserisci Roberto, non condivido invece la tua sentenza su Socrate. Sappiamo bene infatti, l’attenzione che i vari filosofi greci ponevano al riguardo della conoscenza del non visibile, del trascendente, del mondo sottile e invisibile.
Cosa sappiamo degli antichi saggi, profeti, mistici, filosofi? Pochissimo, solitamente quello che hanno lasciato scritto o ci hanno raccontato. Spesso sono interpretazioni o punti di vista quando ci vengono riportati oppure è la semplice lettera. Uno scritto è potente ma sviluppa e tocca solo ciò che c’è dentro ognuno, più profonda è la conoscenza di sé e del mondo e più facilmente toccheremo il senso di ciò che lo scrittore voleva dire, pur restando una nostra intima esperienza. Perché? Perché quando andiamo in profondità ci colleghiamo con l’universo, con l’akasha se volete, e dentro ci sono registrate le esperienze del filosofo, dello scrittore, del mistico. Certo, quando abbiamo un così intimo collegamento con l’universo non è più importante l’autore ma solo il messaggio che ha scritto perché ha ricordato alla nostra anima che è parte dell’infinito. Se leggere è soprattutto ricordare chi si è, memorizzare è necessario alla mente per poter disporre di esempi atti a far ricordare agli altri chi sono. Sapere di non sapere significa che l’infinito è dentro di noi e il nostro essere può accedere a infinite esperienze. Però, quale occasione abbiamo se potessimo incontrare un filosofo, un mistico o un saggio in vita? E se quel filosofo, mistico o saggio fosse una persona che non sa di esserlo? Che esperienze…
Grazie Paolo, le tue parole risvegliano una parte ancestrale che c’è in ciascuno di noi e che è direttamente collegata con la fonte, lì dove tutto è già scritto. Un abbraccio.