Il racconto “Il pescatore e il turista“, scritto da Heinrich Böll (premio Nobel per la letteratura nel 1972) in occasione della Festa del Lavoro del 1° maggio 1963, offre una profonda riflessione sui paradossi del lavoro nella società contemporanea. Divenuto un classico della critica alla civiltà, il testo è stato una lettura obbligatoria in molte scuole tedesche negli anni ’70 e ’80. Un racconto forse ispirato dalla memorabile scena del film “I milanesi a Napoli” del 1954, in cui Ugo Tognazzi interpreta un industriale milanese in vacanza a Napoli e il suo personaggio discute con un pescatore locale sulla filosofia del lavoro.
L’eloquente titolo tedesco, “Anekdote zur Senkung der Arbeitsmoral” (Aneddoto con effetto deprimente sulla morale del lavoro), sottolinea il messaggio tragicomico del racconto.
Attraverso un dialogo semplice ma carico di significato tra un umile pescatore e un turista entusiasta, Böll mette in luce le contraddizioni della concezione moderna del lavoro. Emergono due visioni diametralmente opposte: da un lato, quella del pescatore, che vive in armonia con la natura e trova appagamento nel suo lavoro quotidiano, seppur modesto; dall’altro, quella del turista, simbolo della società consumistica, ossessionato dall’idea del progresso e del guadagno materiale.
Il pescatore e il turista di Heinrich Böll
In un porto della costa occidentale europea un uomo vestito poveramente se ne sta sdraiato nella sua barca da pesca e sonnecchia.
Un turista vestito con eleganza sta appunto mettendo una nuova pellicola a colori nella sua macchina fotografica per fotografare quella scena idilliaca: cielo azzurro, mare verde con pacifiche, candide creste di spuma, barca nera, berretto da pescatore rosso. CLIC. Ancora una volta: CLIC, e siccome non c’è due senza tre, ed è sempre meglio essere sicuri, una terza volta: CLIC.
Quel rumore secco, quasi ostile, sveglia il pescatore mezzo addormentato, che si drizza pieno di sonno, cerca, pieno di sonno, il suo pacchetto di sigarette, ma prima di averlo trovato lo zelante turista gliene mette già un altro sotto il naso, gli infila una sigaretta non proprio in bocca ma tra le dita, e un quarto CLIC, quello dell’accendino, conclude quella sollecita cortesia.
Quell’eccedenza quasi impercettibile, assolutamente indimostrabile di scattante cortesia ha provocato un irritato imbarazzo che il turista, il quale conosce la lingua locale, cerca di superare entrando in conversazione.
– Oggi lei farà una buona pesca.
Il pescatore scuote la testa.
– Perché? Non uscirà al largo?
Il pescatore scuote la testa; crescente nervosismo del turista. Deve stargli proprio a cuore il bene di quell’uomo poveramente vestito, e certo lo tormenta il pensiero di quell’occasione perduta.
– Oh, lei non si sente bene?
Finalmente il pescatore passa dal linguaggio dei segni alla parola articolata. – Mi sento benone, – dice. – Non mi sono mai sentito meglio –. Si alza, si stira come per far vedere l’atleticità del suo fisico. – Mi sento una cannonata.
Il volto del turista assume un’espressione sempre più infelice; non può più reprimere la domanda che, per così dire, minaccia di fargli scoppiare il cuore: – Ma allora perché non esce al largo?
La risposta arriva subito, asciutta. – Perché l’ho già fatto stamattina.
– È stata una buona pesca?
– Talmente buona che non ho bisogno di uscire un’altra volta, ho preso quattro aragoste, quasi due dozzine di maccarelli…
Il pescatore, finalmente sveglio, ora si scioglie e dà qualche rassicurante pacca sulla spalla al turista. La sua faccia preoccupata gli sembra l’espressione di un’ansia magari fuori posto ma commovente.
– Ne ho persino abbastanza per domani e dopodomani, – dice per sollevare l’animo dello straniero. – Fuma una delle mie sigarette?
– Sì, grazie.
I due mettono in bocca le sigarette, un quinto CLIC, lo straniero si siede scuotendo la testa sul bordo della barca, mette da parte l’apparecchio fotografico perché adesso gli servono tutte e due le mani per dare forza al suo discorso.
– Io non voglio immischiarmi nei suoi affari privati, – dice, – ma immagini di uscire al largo, oggi, una seconda, una terza, magari una quarta volta e di pescare tre, quattro, cinque, forse addirittura dieci dozzine di maccarelli… se lo immagini un po’.
Il pescatore annuisce.
– Faccia conto, – continua il turista, – che non solo oggi, ma domani, dopodomani, in ogni giorno favorevole lei esca al largo due, tre, magari quattro volte… Io sa che cosa succederebbe?
Il pescatore scuote la testa.
– In un anno al massimo lei potrebbe comprarsi un motore, entro due anni una seconda barca, fra tre o quattro anni lei potrebbe forse avere un piccolo cutter; con le due barche o il cutter lei naturalmente pescherebbe molto di più. Un bel giorno lei avrebbe due cutter, e allora… – l’entusiasmo gli strozza la voce per qualche istante. – Allora lei si costruirebbe una piccola cella frigorifera, magari un affumicatoio; più tardi una fabbrica di pesce in salamoia; andrebbe in giro nel suo elicottero personale, scoprirebbe dall’alto le schiere di pesci e lo comunicherebbe via radio ai suoi cutter. Potrebbe acquistare il diritto alla pesca del salmone, aprire un ristorante specializzato in pesce, esportare direttamente a Parigi, senza intermediari, le aragoste; e poi… – Ancora una volta l’entusiasmo impedisce allo straniero di parlare. Scuotendo il capo, afflitto nel profondo del cuore, avendo già quasi perso il piacere delle vacanze, guarda le onde che avanzano dolcemente e dove è tutto un allegro guizzare di pesci non pescati.
– E poi… – dice, ma ancora una volta l’eccitazione lo rende muto.
Il pescatore gli batte sulla schiena come a un bambino a cui sia andato un boccone di traverso.
– Che cosa? – gli chiede sottovoce.
– E poi… – dice lo straniero con un entusiasmo estatico, – e poi lei potrebbe starsene in santa pace qui nel porto, sonnecchiare al sole… e contemplare questo mare stupendo.
– Ma questo lo faccio già, – dice il pescatore, – me ne sto in santa pace qui nel porto e sonnecchio, è solo il suo CLIC che mi ha disturbato.
Il turista così ammaestrato se ne andò via pensoso, perché un tempo anche lui aveva creduto di lavorare per non dover più lavorare un giorno; e in lui non restava traccia di compassione per quel pescatore poveramente vestito… solo un poco d’invidia.
(Il pescatore e il turista — Heinrich Böll — da Il nano e la bambola. Racconti 1950-70)
Questo breve racconto di Heinrich Böll ci offre l’occasione per una profonda riflessione sul vero senso del lavoro e della felicità. La figura del pescatore rappresenta la scelta di una vita semplice e appagante, scandita dai ritmi della natura e dai piaceri genuini. Al contrario, il turista incarna l’ideale capitalistico del successo e dell’accumulo, che spesso implica il sacrificio del benessere personale in favore di una corsa sfrenata verso il raggiungimento di obiettivi predefiniti.
L’intento dell’aneddoto non è quello di demonizzare il lavoro in sé, bensì di sottolineare l’importanza di trovare un equilibrio tra le proprie ambizioni e la ricerca della felicità.
L’autentica serenità, infatti, non risiede necessariamente nell’accumulo di beni materiali, ma piuttosto nella capacità di vivere una vita appagante e significativa, in armonia con se stessi e con il mondo che ci circonda.
Parole, quelle di Böll, che diventano un invito all’introspezione, a riflettere su ciò che è davvero importante nella vita, soprattutto alla luce degli ultimi anni caratterizzati da emergenze sanitarie, climatiche ed economiche. Questi eventi hanno spinto molte persone a riconsiderare le proprie priorità, comprendendo che carriera, ricchezza e beni luccicanti spesso non conducono ad una felicità duratura. Il più delle volte tendiamo ad assuefarci a questa felicità fugace, alimentata da una società consumistica che ci spinge ad inseguire beni effimeri che non sprigionano benessere personale.
Inoltre, il racconto “Il pescatore e il turista” richiama, a mio avviso, il concetto di Ikigai, la filosofia giapponese che identifica la ragione d’essere di un individuo nella convergenza di passione, vocazione, professione e missione. Il pescatore ha trovato il suo Ikigai nella pesca, che gli permette di vivere in armonia con se stesso e con il mondo circostante. Il turista, invece, sembra ancora alla ricerca del suo, intrappolato in una visione capitalistica che antepone il capitale alla vita stessa.
La metafora del racconto è pertanto chiara: metterci in guardia dai pericoli dell’avidità e dell’insaziabilità. Il desiderio smodato di ricchezza effimera e beni materiali può portarci a sacrificare ciò che è davvero importante nella vita, come le relazioni umane, le passioni e il benessere psicofisico.
Che poi, è uno dei messaggi che ho seminato nel mio libro “Schiavi del Tempo”: “Dobbiamo capire che la vera ricchezza non è il denaro che accumuliamo e convertiamo in fugaci miraggi di felicità ma il tempo che ci resta in tasca a fine giornata.”
7 commenti
Il racconto di Heinrich Böll, con i suoi numerosi adattamenti, è stato ampiamente diffuso su internet e citato in molti libri e articoli scientifici.
Una delle versioni più popolari è “La parabola del pescatore messicano” riportata nel libro “4 ore alla settimana” dell’autore statunitense Timothy Ferriss.
Eccola:
Un uomo d’affari statunitense, su ordine del medico, si concesse una vacanza in un piccolo villaggio costiero messicano. Incapace di prendere sonno dopo avere ricevuto una telefonata urgente dall’ufficio, si avviò verso il molo per schiarirsi le idee. Lì era attraccata una minuscola imbarcazione con un solo pescatore, carica di tonni pinna gialla. L’americano si complimentò con il messicano per la pesca.
«Quanto ci ha messo a pescarli?» domandò l’americano.
«Pochissimo tempo» rispose il messicano in un inglese sorprendentemente buono.
«Perché non sta fuori di più e prende più pesce?» domandò allora l’americano.
«È sufficiente per sostenere la mia famiglia e regalarne un po’ agli amici» disse il messicano mentre li scaricava in una cesta.
«Ma… Che cosa fa il resto del tempo?»
Il messicano alzò lo sguardo e sorrise.
«Dormo fino a tardi, pesco un po’, gioco con i miei figli, faccio una siesta insieme a mia moglie Julia, e giro per il villaggio ogni sera, dove bevo vino e suono la chitarra con i miei amigos. Ho una vita piena e impegnata, señor.»
L’americano rise e si allungò in tutta la sua statura.
«Signore, mi sono laureato a Harvard con un Master in Business Administration e posso darle una mano. Dovrebbe dedicare più tempo alla pesca e in questo modo potrebbe acquistare una barca più grande. In un attimo, con l’aumento dei profitti, potrebbe comperare numerose barche. Alla fine avrebbe una flotta di pescherecci.»
«Invece di vendere quello che pesca a un intermediario, potrebbe vendere direttamente ai clienti, e alla fine potrebbe aprire un conservificio. Controllerebbe il prodotto, la lavorazione e la distribuzione. Naturalmente dovrebbe lasciare questo piccolo villaggio costiero di pescatori e trasferirsi a Città del Messico, poi a Los Angeles e infine a New York, dove potrebbe gestire la sua impresa in espansione con un management appropriato.»
Il pescatore messicano domandò: «Ma, señor, quanto ci vorrà per tutto questo?».
Al che l’americano rispose: «Quindici, vent’anni. Massimo venticinque».
«E poi, señor?»
L’americano rise e disse: «Questa è la parte migliore. Al momento giusto, lancerebbe una IPO e venderebbe le azioni della sua società al pubblico diventando veramente ricco. Farebbe i milioni».
«Milioni, señor? E poi?»
«A quel punto potrebbe ritirarsi e trasferirsi in un piccolo villaggio costiero di pescatori, dove potrebbe dormire fino a tardi, pescare un po’, giocare con i suoi figli, fare una siesta insieme a sua moglie e girare per il villaggio la sera, per bere vino e suonare la chitarra insieme ai suoi amigos…»
Interessante. comunque opto per la filosofia giapponese IKIGAI.
Grazie di quanto hai scritto ed un caro saluto
Grazie a te Artemio per avermi letto, sono felice di aver suscitato il tuo interesse con un mio scritto.
Come sempre un duale concetto collegato e ricorrente: le scelte del singolo che può fare solo il singolo e l’equilibrio tra scelta e scelta che non è il punto centrale tra due elementi ma quello esatto tra due elementi non sempre uguali, anzi, sempre diversi. Un esercizio quotidiano che ogni persona è chiamata a fare a pari della ricerca interiore che un giorno inizia ma non finisce mai.
Ciao Paolo, credo che il bilanciamento tra le scelte individuali e la ricerca dell’equilibrio sia fondamentale non solo per la nostra crescita personale, ma soprattutto per la costruzione di una società più giusta e sostenibile.
Grazie Ivan, molto interessante. Mi ha colpito l’arroganza invadente del turista (e sui CLIC fotografici in barba alla privacy si potrebbe aprire un dibattito) e la sua curiosità irrispettosa. Pone domande al pescatore, ma i quesiti in fondo sono rivolti a se stesso e al proprio modo di vivere. Sarà che sto diventando sempre meno tollerante di fronte al falso interesse verso gli altri e al poco rispetto reciproco. Un abbraccio.
Buongiorno Chiara, sì, il racconto evidenzia un certo nervosismo di fondo. In effetti, lo scopo sembra essere quello di mostrare, come purtroppo accade spesso oggigiorno, la propria superiorità di vedute, idee e parola, anche quando sarebbe sufficiente rimanere in silenzio e osservare per imparare. Il turista, infatti, avrebbe molto da imparare dal pescatore. Un abbraccio!