L’Obsolescenza Programmata È Il Motore Del Consumismo

Tragicomico
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obsolescenza-programmataQuando si parla di obsolescenza programmata, ci si riferisce a quei prodotti concepiti fin dall’inizio per avere una durata limitata nel tempo. Pertanto, per “stimolare” i bisogni dei consumatori, affinché possano acquistare e consumare con ritmi sempre crescenti, e dare vita ad un sistema di consumo sfrenato, l’intervallo di avvicendamento tra un prodotto e l’altro diventa sempre più breve. Il mercato è letteralmente invaso da prodotti costosi che però durano sempre meno. Soprattutto dopo il periodo di garanzia iniziano i primi malfunzionamenti e il più delle volte riparare uno di questi prodotti costa più del prodotto stesso. Dagli smartphone alle stampanti, dalle lampadine alle automobili, dai tablet alle lavatrici: sempre più complessi, sempre più fragili.

Purtroppo non ci sono prove “concrete” che i produttori facciano oggetti destinati a lasciarci in fretta, tecnicamente diciamo che manca l’arma del delitto, però dall’altra parte c’è la supposizione, ossia l’esperienza di tutti noi consumatori, dove ognuno può raccontare una sua storia di qualche aggeggio domestico che passato indenne il periodo di garanzia, e magari mentre esce una nuova versione, le prestazioni iniziano a calare, la batteria crolla, inizia a verificarsi un qualche guasto, diventa misteriosamente e costosamente irreparabile. Sfortuna? Coincidenza? Oppure trattasi realmente di un caso di obsolescenza programmata?

lampadine-1000ore-obsolescenza-programmataPer trovare il primo caso di obsolescenza programmata nella storia, dobbiamo tornare indietro al natale del 1924, quando la prima vittima fu… la lampadina! In una stanza a Ginevra diversi signori in abito gessato si incontrarono con un piano segreto, istituirono il primo “cartello” mondiale. Il loro obiettivo era quello di controllare la produzione di lampadine di tutti i paesi, e dividersi la torta dei profitti del mercato mondiale. Il cartello si chiamava “Phoebus”, e includeva i principali produttori di lampadine di Europa, Stati Uniti, e alcune lontane colonie in Asia e Africa. L’obiettivo era quello di scambiarsi brevetti, controllare la produzione ma, soprattutto, controllare il consumatore! Nel 1925 fu istituita un’apposita commissione, la commissione “1000 ore”, che si prefisse di arrivare a modificare le lampadine in modo da portarne la durata al periodo stabilito.

Ed è così che lampadine derivate dall’invenzione di Thomas Edison, che erano arrivate a funzionare fino a 2500 ore, tornarono a funzionare per un massimo di 1000 ore. Meno della metà! Un caso analogo avvenne nel 1940, quando l’azienda chimica DuPont presenta al mondo il Nylon, una fibra sintetica rivoluzionaria al tempo per le sue caratteristiche. Si trattava infatti di una fibra particolarmente resistente che venne utilizzata per la realizzazione di calze femminili, ma… erano troppo resistenti e duravano troppo. Pensate che al tempo, per mezzo di un paio di calze femminili, tanto che erano resistenti, si poteva trainare un autoveicolo!! Così agli ingegneri della DuPont venne ordinato di renderle meno forti e resistenti.

Per permettere alla società dei consumi di continuare il suo carosello diabolico sono necessari tre ingredienti:
la pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il credito, che ne fornisce i mezzi,
e l’obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti,
che ne rinnova la necessità.

(Serge Latouche – “Breve trattato sulla decrescita serena“)

consumismo-apple-filaOggigiorno con l’evoluzione dei prodotti, si sono evoluti anche i “trucchi” per renderli più deboli, sono anch’essi per così dire, “sofisticati”. Ne sa qualcosa la Apple, la compagnia del defunto Steve Jobs, colpevole secondo molti consumatori, di aver immesso sul mercato milioni di iPod che nel giro di otto-dodici mesi cominciavano ad accusare problemi alle batterie, che però, guarda caso, non potevano essere riparate o sostituite. L’unica soluzione? Comprare un nuovo iPod. Tragicomica come cosa, soprattutto se consideriamo il fatto che viviamo nell’era dell’evoluzione tecnologica!

Naturalmente i consumatori, specie con l’aria di crisi che tira, non sono rimasti a guardare e tramite Elizabeth Pritzker, un avvocato degli Stati Uniti, hanno organizzato una Class Action contro la Apple. Dai documenti ottenuti nel corso del processo è emerso che l’ azienda statunitense che produce i dispositivi multimediali, ha realizzato appositamente delle batterie al litio affinché terminassero il loro ciclo in quel lasso di tempo, motivo per cui è stata condannata, oltre al fatto di dover risarcire gli acquirenti frodati e a estendere la garanzia a due anni.

bernard-london-obsolescenza-pianificataRestando sempre negli Stati Uniti, ma facendo ancora un balzo indietro nella storia, possiamo scoprire come addirittura ci fu chi negli anni trenta propose di rendere l’obsolescenza programmata come obbligatoria. Questo personaggio ha un nome e cognome e si chiama Bernard London. Fondatore del termine “obsolescenza pianificata”, e attraverso un suo saggio, “Uscire dalla depressione attraverso l’obsolescenza pianificata”, sostenne che l’unica via per rivitalizzare l’economia piegata dal crollo della crisi del 1929 era quella di incentivare i consumi. Quindi, quale modo migliore della sostituzione obbligata dei beni per raggiungere il fine della crescita economica? Da tutto ciò si può intendere come l’obsolescenza programmata non sia soltanto una teoria della cospirazione, come in molti sostengono, ma è un vero e proprio modello di business. Un modello diventato uno standard in molte industrie, il motore del consumismo, dato che è una caratteristica integrata della religione della crescita economica.

iphone10-obsolescenza-programmata-softwareLa questione dell’obsolescenza programmata ha però un altro versante, più sociale, che potremmo definire obsolescenza psicologica. In questo caso, la “scadenza” di uno smartphone, di un televisore, di una fotocamera non è soltanto fisica, ma è legata ad un aspetto psicologico del consumatore, che in tal senso viene influenzato dai messaggi pubblicitari, dalle nuove funzioni, fino ai modelli sempre più nuovi e desiderabili che escono sul mercato del consumo. Ci inducono a pretendere sempre di più dai nostri dispositivi elettronici, 15 anni fa con il cellulare potevamo soltanto chiamare e inviare sms, ora c’è molto di più, internet, le foto, la musica, quindi insieme al dispositivo cambia anche l’utente e il suo profilo d’uso di uno strumento tecnologico, così da alzare le aspettative che lo riguardano.

Anche fosse che un cellulare durasse 20 anni, dopo 3 o 4 anni diventerebbe “inutilizzabile”, perché non più capace di reggere le nuove disposizioni a livello software. Per intenderci, quando un upgrade del software ti “ammazza” il telefono, rendendolo lento e pieno di momenti di stallo, questo lo considero un esempio lampante di obsolescenza programmata “moderna”.

rifiuti-elettronici-africaMa qualcuno si è mai chiesto dove vanno a finire tutti questi prodotti elettronici considerati “obsoleti” ? Così come per i rifiuti tossici (e in Italia ne sappiamo qualcosa!) anche per quelli elettronici c’è una vera e propria operazione clandestina in atto. Alcuni di questi rifiuti vengono riciclati nei Paesi ad alto consumo, ove è disponibile la tecnologia avanzata per estrarre un paio di grammi d’oro da un mucchio di telefoni cellulari rotti. Ma per la stragrande maggioranza di questi rifiuti, viene illegalmente “esportata” in Asia e in Africa, nelle zone estremamente povere. In quelle zone di discarica, milioni di persone devono affrontare gravi danni salutari causati da questo continuo flusso di rifiuti e non solo. Questi rifiuti, a loro volta, vengono smembrati dagli abitanti del posto, alla disperata ricerca di metallo – rame, alluminio, ferro – da cui ricavare qualche dollaro.

Sono realtà di cui raramente si parla in televisione, ma basta andare su Google immagini e inserire parole chiave come “rifiuti elettronici” o “discariche elettroniche” per avere una vaga idea di quello di cui sto parlando.

produci-consuma-crepaIn uno scenario simile, tutto ciò che è auspicabile, si chiama “decrescita”. Una vera rivoluzione non solo dei consumi, ma soprattutto, del modo di consumare. Viviamo in una società in cui il guasto di un prodotto è considerato una caratteristica del prodotto stesso, cioè, quando compriamo, incluso nel prezzo, c’è anche il guasto! Ormai è matematico, scientifico, è studiato che quel prodotto è stato realizzato per rompersi o per essere inefficiente dopo un certo lasso di tempo, in modo tale che il consumatore ne compri uno nuovo.

Che il mondo in cui viviamo sia alla deriva è sotto gli occhi di tutti,
persino i più irriducibili hanno cominciato timidamente ad ammettere che la strada intrapresa
non è più sostenibile, che i ritmi di crescita a cui ci siamo abituati stanno spremendo il Pianeta,
lo stanno portando al collasso.
Occorre ripensare la filosofia del consumo dalle basi,
operando una profonda trasformazione che non ripudi ma rimoduli,
che non cancelli ma migliori.
(Dal mio libro – “Schiavi del Tempo“)

Noi come “consumatori” (odio il termine “consumatori”!), non solo dobbiamo consumare meno, ma soprattutto, dobbiamo consumare meglio, cercando di non dare tutto per scontato. Bsogna sempre trovare un modo per riutilizzare e riparare. Cercare di essere più cauti e attenti negli acquisti e non lasciarci attrarre da ogni lancio di nuovi modelli. In internet spesso e volentieri si trovano molti video e guide di auto-riparazioni “fai da te”, credo che questa sia una delle strada da intraprendere. Molta gente ha visto rinascere stampanti, telefonini, notebook, lavatrici e via dicendo, grazie alla competenza messa in rete da alcuni “professionisti”.

In Francia l’obsolescenza programmata è diventata un reato. E presto lo sarà anche nel resto d’Europa. Ma ciò non basta. Sappiamo come le Lobby siano brave ad aggirare le leggi in vigore, e finché la società è al servizio dell’economia e non il contrario, non cambierà nulla. Del resto l’idea della crescita eterna è pura utopia. Il pianeta non ce lo consente in termini di risorse ed è dimostrato che il benessere e la felicità umana non dipendono certo dal ciclo del consumare, buttare e ricomprare. Quindi la decrescita, così come il rallentamento dei consumi, sono le uniche vie possibili. Dobbiamo concentrare i nostri sforzi al di fuori del semplice e banale consumo materiale, perché noi siamo esseri umani, cittadini, e non soltanto consumatori consumati.

Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo
sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio.
È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo.
(Zygmunt Bauman – “Consumo, dunque sono“)

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