Il Discorso Sul Debito Africano Che Costò La Vita A Thomas Sankara

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ll discorso sul debito africano fu pronunciato da Thomas Sankara, Presidente carismatico e rivoluzionario del Burkina Faso, il 29 luglio 1987 ad Addis Abeba in occasione del vertice dell’Organizzazione dell’Unità Africana.
Con il suo discorso sul debito, Thomas Sankara sfidò apertamente i potenti del mondo, mise in luce la corruzione e lo sfruttamento selvaggio dei popoli dell’Africa da parte dell’Occidente, e denunciò gli sporchi giochi di potere messi in atto per impedire ai paesi africani qualsiasi anelito di libertà e di autodeterminazione.
Venne assassinato il 15 ottobre 1987 insieme a dodici ufficiali in un colpo di Stato organizzato dall’ex-compagno d’armi e collaboratore Blaise Compaoré con l’appoggio degli Stati “creditori” Francia e Stati Uniti, insieme al supporto dei militari liberiani.

Un uomo coraggioso che affermò, con il proprio esempio personale, che la politica è al servizio delle popolazioni e non una procedura di arricchimento personale. Nei suoi discorsi rivoluzionari, come in quello tenuto all’ONU il 4 ottobre 1984, Sankara sostenne le ragioni degli ultimi, dei vinti e dei diversi. Denunciò lo strapotere degli uomini sulle donne e le disuguaglianze in atto nel mondo. Avanzò la richiesta di sospensione di Israele per abuso di potere sulla Palestina e di espulsione del Sudafrica dalle Nazioni Unite, che all’epoca deteneva in prigione Nelson Mandela. Rese noto l’inganno di un mondo fondato sulla competitività, che punisce sempre gli umili, i poveri e chi lavora, mentre “i soliti noti” si arricchiscono sempre di più dietro le quinte.
Forse è per questa ragione che, tre mesi dopo il suo discorso dul debito, Thomas Sankara venne ucciso e in tutti i modi si è cercato di cancellarne la memoria, come se non fosse mai esistito, come se le sue parole non fossero mai state pronunciate, relegato in un angolo oscuro della storia, in un fulgido esempio di cancel culture.

Questo articolo vuole perciò rendere omaggio a un vero rivoluzionario, alle sue parole eterne, scolpite nella pietra, parole di un uomo vivo in mezzo a centinaia di morti viventi. Un uomo che è stato eliminato dai soliti “assassini tecnici” che sono al potere ancora oggi e che chiunque ama la libertà dei popoli dovrebbe combattere affinché le sue parole possano trovare la giusta risonanza. Sankara non deve rimanere un martire sconosciuto, le sue gesta meriterebbero un posto nei libri di storia di tutto l’Occidente, insieme alle sue parole profetiche “Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza”. Aveva già lanciato il monito: il potere lo si combatte tutti insieme, altrimenti nulla sarà possibile.
Ecco il suo discorso sul debito, attraverso il quale, con coraggio e acume, spiattella in faccia al mondo la verità e la soluzione, una lezione di umanità e di vera politica.

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“Signor presidente, signori capi delle delegazioni,
vorrei che in questo istante potessimo parlare di quest’altra questione che ci preme: la questione del debito, la questione relativa alla situazione economica dell’Africa. Poiché questa, tanto quanto la pace, è una condizione importante della nostra sopravvivenza. Ecco perché ho creduto di dovervi imporre alcuni minuti supplementari affinché ne parliamo.

Il Burkina Faso vorrebbe esprimere innanzitutto il suo timore.
Il timore che abbiamo è che le riunioni dell’OUA (Organizzazione dell’Unità Africana) si susseguano, si somiglino, ma che alla fine ci sia sempre meno interesse a ciò che facciamo. Signor presidente, quanti sono i capi di Stato qui presenti che sono stati giustamente chiamati a venire a parlare dell’Africa in Africa? Signor Presidente, quanti capi di Stato sono pronti a volare a Parigi, a Londra, a Washington quando laggiù li si chiama in riunione ma non possono venire qui ad Addis-Abeba in Africa? Questo è molto importante, stabiliamo delle misure per sanzionare i capi di stato che non rispondono all’appello. Facciamo in modo che attraverso un sistema di punti di buona condotta, quelli che vengono regolarmente, come noi per esempio, possano essere sostenuti in alcuni dei loro sforzi.

Per esempio: ai progetti che presentiamo alla Banque Africaine de Développement (BAD, Banca Africana di Sviluppo) deve essere attribuito un coefficiente di africanità. I meno africani saranno penalizzati. Così tutti verranno qui alle riunioni.
Vorrei dirvi, signor presidente, che il problema del debito è una questione che non possiamo eludere. Voi stesso ne sapete qualche cosa, nel vostro paese avete dovuto prendere delle decisioni coraggiose, perfino temerarie. Delle decisioni che non sembrano essere tutte in tono con la vostra età e i vostri capelli bianchi. 
Sua Eccellenza il presidente Habib Bourguiba, che non è potuto venire ma che ci ha fatto pervenire un importante messaggio, ha dato un altro esempio all’Africa, quando in Tunisia, per le ragioni economiche, sociali e politiche, ha anch’egli dovuto prendere delle decisioni coraggiose. 

Ma, signor presidente, vogliamo continuare a lasciare soli i capi di stato nel cercare delle soluzioni al problema del debito, col rischio di creare nei loro paesi dei conflitti sociali che potrebbero mettere in pericolo la loro stabilità ed anche la costruzione dell’unità africana? 
Questi esempi che ho citato, e ce ne sono altri, meritano che i vertici dell’OUA diano una risposta rassicurante a ciascuno di noi sulla questione del debito. Noi pensiamo che il debito si analizza prima di tutto dalla sua origine. Le origini del debito risalgono alle origini del colonialismo. Quelli che ci hanno prestato denaro, sono gli stessi che ci avevano colonizzato. Sono gli stessi che gestivano i nostri stati e le nostre economie. Sono i colonizzatori che indebitavano l’Africa con i finanziatori internazionali che erano i loro fratelli e cugini

Noi non c’entravamo niente con questo debito. Quindi non possiamo pagarlo. Il debito è ancora il neocolonialismo, con i colonizzatori trasformati in assistenti tecnici anzi dovremmo invece dire «assassini tecnici». Sono loro che ci hanno proposto dei canali di finanziamento, dei «finanziatori». Un termine che si impiega ogni giorno come se ci fossero degli uomini che solo «sbadigliando» possono creare lo sviluppo degli altri. 
Questi finanziatori ci sono stati consigliati, raccomandati. Ci hanno presentato dei dossier e dei movimenti finanziari allettanti. Noi ci siamo indebitati per cinquant’anni, sessant’anni anni e più. Cioè siamo stati portati a compromettere i nostri popoli per cinquant’anni e più.

Il debito nella sua forma attuale, controllata e dominata dall’imperialismo, è una riconquista dell’Africa sapientemente organizzata, in modo che la sua crescita e il suo sviluppo obbediscano a delle norme che ci sono completamente estranee. In modo che ognuno di noi diventi schiavo finanziario, cioè schiavo tout court, di quelli che hanno avuto l’opportunità, l’intelligenza, la furbizia, di investire da noi con l’obbligo di rimborso.

Ci dicono di rimborsare il debito. Non è un problema morale. Rimborsare o non rimborsare non è un problema di onore. Signor presidente, abbiamo prima ascoltato e applaudito il primo ministro della Norvegia intervenuta qui. Ha detto, lei che è un’europea, che il debito non può essere rimborsato tutto. Il debito non può essere rimborsato prima di tutto perché se noi non paghiamo, i nostri finanziatori non moriranno, siamone sicuri. Invece se paghiamo, saremo noi a morire, ne siamo ugualmente sicuri. Quelli che ci hanno condotti all’indebitamento hanno giocato come al casinò. Finché guadagnavano non c’era nessun problema, ora che perdono esigono il rimborso. E si parla di crisi
No, Signor presidente. Hanno giocato, hanno perduto, è la regola del gioco. E la vita continua. Non possiamo rimborsare il debito perché non abbiamo di che pagare. Non possiamo rimborsare il debito perché non siamo responsabili del debito. Non possiamo pagare il debito perché, al contrario, gli altri ci devono ciò che le più grandi ricchezze non potranno mai ripagare: il debito del sangue.

È il nostro sangue che è stato versato. Si parla del Piano Marshall che ha rifatto l’Europa economica. Ma non si parla mai del Piano africano che ha permesso all’Europa di far fronte alle orde hitleriane quando la sua economia e la sua stabilità erano minacciate. Chi ha salvato l’Europa? È stata l’Africa. Se ne parla molto poco. Così poco che noi non possiamo essere complici di questo silenzio ingrato.

Se gli altri non possono cantare le nostre lodi, noi abbiamo almeno il dovere di dire che i nostri padri furono coraggiosi e che i nostri combattenti hanno salvato l’Europa e alla fine hanno permesso al mondo di sbarazzarsi del nazismo. Il debito è anche conseguenza degli scontri. Quando ci parlano di crisi economica, dimenticano di dirci che la crisi non è venuta all’improvviso. La crisi è sempre esistita e si aggraverà ogni volta che le masse popolari diventeranno più coscienti dei loro diritti di fronte allo sfruttatore.

Oggi c’è crisi perché le masse rifiutano che le ricchezze siano concentrate nelle mani di pochi individui. C’è crisi perché pochi individui depositano nelle banche estere delle somme colossali che basterebbero a sviluppare l’Africa intera. C’è crisi perché di fronte a queste ricchezze individuali che hanno nomi e cognomi, le masse popolari si rifiutano di vivere nei ghetti e nei bassi fondi. C’è crisi perché i popoli rifiutano dappertutto di essere dentro una Soweto di fronte a Johannesburg. C’è quindi lotta, e l’esacerbazione di questa lotta preoccupa chi ha il potere finanziario.

Ci si chiede oggi di essere complici della ricerca di un equilibrio. Equilibrio a favore di chi ha il potere finanziario. Equilibrio a scapito delle nostre masse popolari.
No! Non possiamo essere complici. No! Non possiamo appoggiare quelli che succhiano il sangue dei nostri popoli e vivono del sudore dei nostri popoli nelle loro azioni assassine.

Signor presidente, sentiamo parlare di club – club di Roma, club di Parigi, club di ovunque. Sentiamo parlare del Gruppo dei cinque, dei sette, del Gruppo dei dieci, forse del Gruppo dei cento o che so io. È normale allora che anche noi creiamo il nostro club e il nostro gruppo. Facciamo in modo che a partire da oggi anche Addis Abeba diventi la sede, il centro da cui partirà il vento nuovo del Club di Addis Abeba. Abbiamo il dovere di creare oggi il fronte unito di Addis Abeba contro il debito. È solo così che potremo dire oggi che rifiutando di pagare non abbiamo intenzioni bellicose ma al contrario intenzioni fraterne.

Del resto, le masse popolari in Europa non sono contro le masse popolari in Africa. Ma quelli che vogliono sfruttare l’Africa sono gli stessi che sfruttano l’Europa. Abbiamo un nemico comune. Quindi il club di Addis Abeba dovrà dire agli uni e agli altri che il debito non sarà pagato. Quando diciamo che il debito non sarà pagato non vuol dire che siamo contro la morale, la dignità, il rispetto della parola. Noi pensiamo di non avere la stessa morale degli altri. Tra il ricco e il povero non c’è la stessa morale.

La Bibbia, il Corano, non possono servire nello stesso modo chi sfrutta il popolo e chi è sfruttato. C’è bisogno che ci siano due edizioni della Bibbia e due edizioni del Corano. Non possiamo accettare che ci parlino di dignità. Non possiamo accettare che ci parlino di merito per quelli che pagano e perdita di fiducia per quelli che non dovessero pagare. Noi dobbiamo dire al contrario che oggi è normale si preferisca riconoscere come i più grandi ladri siano i più ricchi. Un povero, quando ruba, non commette che un peccatuccio per sopravvivere e per necessità.

I ricchi, sono quelli che rubano al fisco, alle dogane. Sono quelli che sfruttano il popolo. Signor presidente, non è quindi provocazione o spettacolo. Dico solo ciò che ognuno di noi pensa e vorrebbe. Chi non vorrebbe qui che il debito fosse semplicemente cancellato? Quelli che non lo vogliono possono subito uscire, prendere il loro aereo e andare dritti alla Banca Mondiale a pagare! Non vorrei poi che si prendesse la proposta del Burkina Faso come fatta da «giovani», senza maturità e esperienza. Non vorrei neanche che si pensasse che solo i rivoluzionari parlano in questo modo. Vorrei semplicemente che si ammettesse che è una cosa oggettiva, un fatto dovuto.

E posso citare tra quelli che dicono di non pagare il debito dei rivoluzionari e non, dei giovani e degli anziani. Per esempio Fidel Castro ha già detto di non pagare.
Non ha la mia età, anche se è un rivoluzionario. Ma posso citare anche François Mitterrand che ha detto che i Paesi africani non possono pagare, i paesi poveri non possono pagare. Posso citare la signora Primo Ministro di Norvegia. Non conosco la sua età e mi dispiacerebbe chiederglielo. È solo un esempio. Vorrei anche citare il presidente Félix Houphouët Boigny. Non ha la mia età, eppure ha dichiarato pubblicamente che quanto al suo Paese, la Costa d’Avorio, non può pagare. Ma la Costa d’Avorio è tra i paesi che stanno meglio in Africa, almeno nell’Africa francofona. Ed è per questo d’altronde normale che paghi un contributo maggiore qui.

Signor presidente, la mia non è quindi una provocazione. Vorrei che molto saggiamente lei ci offrisse delle soluzioni. Vorrei che la nostra conferenza adottasse la risoluzione di dire chiaramente che noi non possiamo pagare il debito. Non in uno spirito bellicoso. Questo per evitare di farci assassinare individualmente. Se il Burkina Faso da solo rifiuta di pagare il debito, non sarò qui alla prossima conferenza! Invece, col sostegno di tutti, di cui ho molto bisogno, col sostegno di tutti potremo evitare di pagare. Ed evitando di pagare potremo consacrare le nostre magre risorse al nostro sviluppo.

E vorrei terminare dicendo che ogni volta che un paese africano compra un’arma è contro un africano. Non contro un europeo, non contro un asiatico. È contro un africano. Perciò dobbiamo, anche sulla scia della risoluzione sul problema del debito, trovare una soluzione al problema delle armi. Sono militare e porto un’arma. Ma signor presidente, vorrei che ci disarmassimo. Perché io porto l’unica arma che possiedo. Altri hanno nascosto le armi che pure portano. Allora, cari fratelli, col sostegno di tutti, potremo fare la pace a casa nostra. Potremo anche usare le sue immense potenzialità per sviluppare l’Africa, perché il nostro suolo e il nostro sottosuolo sono ricchi. Abbiamo abbastanza braccia e un mercato immenso, da Nord a Sud, da Est a Ovest. Abbiamo abbastanza capacità intellettuali per creare, o almeno prendere la tecnologia e la scienza in ogni luogo dove si trovano.

Signor presidente, facciamo in modo di realizzare questo fronte unito di Addis Abeba contro il debito. Facciamo in modo che a partire da Addis Abeba decidiamo di limitare la corsa agli armamenti tra paesi deboli e poveri. I manganelli e i machete che compriamo sono inutili. Facciamo in modo che il mercato africano sia il mercato degli africani. Produrre in Africa, trasformare in Africa, consumare in Africa. Produciamo quello di cui abbiamo bisogno e consumiamo quello che produciamo, invece di importarlo.

Il Burkina Faso è venuto a mostrare qui la “cotonnade”, prodotta in Burkina Faso, tessuta in Burkina Faso, cucita in Burkina Faso per vestire i Burkinabé. La mia delegazione ed io stesso siamo vestiti dai nostri tessitori, dai nostri contadini. Non c’è un solo filo che venga d’Europa o d’America. Non faccio una sfilata di moda ma vorrei semplicemente dire che dobbiamo accettare di vivere africano. È il solo modo di vivere liberi e degni.
La ringrazio Signor presidente.
Patria o morte, vinceremo!”

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Molte traduzioni in italiano dei discorsi di Thomas Sankara sono state curate dalla giornalista Marinella Correggia e sono presenti nel libro “Thomas Sankara. I discorsi e le idee”.
Un Presidente puro, con pochi dollari sul conto corrente, tant’è vero che spesso chiedeva denaro in prestito ai famigliari, denaro che poi elargiva al popolo.
Un uomo semplice, che ha lasciato una bicicletta e una chitarra ai suoi eredi ma che ha avuto il coraggio di andare alle Nazioni Unite e dire loro in faccia la verità, incoraggiando anche gli altri a farlo, una verità che noi occidentali, appartenenti al mondo ricco e dei privilegi, ci rifiutiamo ancora di vedere, per un mero e bieco servilismo.

Tragicomico

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8 commenti

paolo 10 Ottobre 2023 - 12:56

Cosa dire? C’è davvero qualcosa da dire? No. L’unica nota che si può dire, e viene dalla storia di questa stessa umanità, è che ogni verità sbattuta in faccia a qualsiasi istituzione o governo viene subito dimenticata. Dimenticata perché non c’è morale, non c’è onestà, non c’è rigore, non c’è integrità, non ci sono valori. Esiste una sola religione: quella della violenza e del fallimento, per questo motivo ogni rappresentante della propria religione ne pagherà la responsabilità per non aver saputo infondere l’esempio. Questa è l’unica verità di questa società ammalata, morente e che non darà frutti per un migliore futuro. Ma va bene così, perché alla fine nessuna istituzione è in grado di migliorare la società, sono solo gerarchie di potere, mentre è il singolo a poterlo fare. Sebbene siamo lontani eoni dalla spiritualità, dalla libertà e dal vero senso dell’Amore, in realtà siamo vicinissimi perché è nella difficoltà che esce la nostra parte migliore. Il migliore futuro è già qui se lo vogliamo scoprire davvero, se non ci aspettiamo di toccarlo con mano, se ci apriamo al mistero e all’infinito. Al solito, anche qui stiamo ripetendo alla fine sempre la stessa musica: meravigliosa da un lato ma straniante, forse straziante, dall’altro. Perché è lì, la puoi prendere allungando la tua mano eppure ancora una volta, fai di tutto per ignorarla solo perché è una vera responsabilità.

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Tragicomico 10 Ottobre 2023 - 18:20

Ciao Paolo, grazie del tuo commento, sempre prezioso. Sei stato gentile nel dire che la verità viene “dimenticata” dalle istituzioni, perché sappiamo bene come il più delle volte viene calpestata, infangata, insabbiata, violentata in favore di menzogne utili a fare cassa. Nessuna guerra, ad esempio, potrebbe mai esistere senza le menzogne sistematiche, senza gli sporchi giochi di potere. E questo vale per tante altre situazioni che permettono un ritorno economico attraverso ricatti e situazioni poco ortodosse. Gli ultimi tempi che abbiamo vissuto, sono stati molto pregni di “situazioni” simili e chi si permetteva di fare un ragionamento “contrario” veniva subito etichettato come complottista, populista, negazionista. Ormai non si criticano più i ragionamenti, non si discute più sugli avvenimenti, sulle cause e sulle conseguenze. Si etichetta e basta. Ecco perché trovo doveroso parlare di figure rivoluzionarie come quella di Thomas Sankara.
Grazie Paolo!

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paolo 11 Ottobre 2023 - 13:57

Sì, pienamente d’accordo Ivan. Esempi ce ne sono molti, per questo è bene dirlo a chiare lettere: non ci sarà mai nessun tipo di associazione, istituzione, gruppo o movimento che potrà cambiare la storia di questa società. È il singolo che deve cambiare e cambiare non è così scontato perché deve fare prima una profonda analisi di se stesso e poi modificare le sue vere intenzioni e motivazioni. Non è necessario fare cambi repentini dello stile di vita, verranno poi di conseguenza. Per questo motivo basta dare giudizi e mettere etichette a ogni cosa, persona ed evento.

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Mauro Fabrizio 16 Ottobre 2023 - 17:08

Ciao Ivan, governi in primis, multinazionali, e lobbisti, questi sono il tessuto sociale marcio di una società tossica e ammalata, dove non esiste la libertà di parola ma si deve vivere di opinioni altrui o vomitate dalla scatola delle illusioni diceva Terzani. Quando dici la verità e a qualcuno non piace vieni additato, emarginato e calpestato solo perchè non vuoi far parte del pensiero unico sputato ininterrottamente dai media. E i governi pronti a schiacciarti affiancati dal loro braccio armato (Polizia, Esercito, ecc, ecc). Andare contro a questo sistema é come tentare di fermare la marea in una spiaggia, ma almeno distinguersi a non far parte delle masse o alla mandria umana non pensante ad accettare tutto, penso sia cosa buona e giusta. Non sono una singolarità, ma c’è un numero di persone ancora pensanti, con idee proprie che è in costante aumento e che non accettano il pensiero preconfezionato che deve andare bene per tutti, e questo mi da speranza. PS. Buona vita a tutti. Free Palestine.

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Tragicomico 20 Ottobre 2023 - 12:56

Ciao Fabrizio, hai evidenziato un modus operanti ormai mansueto, perché funziona e quindi viene ripetuto dai potenti di turno, perché il risultato è sempre assicurato. Tagliare la testa del mostro, però, non serve a nulla, se la base è marcia. Questo Orwell l’ha parafrasato molto bene nel suo “Animal farm”, un’opera che dimostra come ci sarà sempre qualcuno a prendere il potere, se la base è debole. Ecco perché mi auguro che un giorno tutti possano capire e prendere consapevolezza che il potere esiste solo in virtù degli schiavi. Se gli schiavi si ribellano e lo fanno tutti insieme, il potere smette di esistere.
Lunga vita alle minoranze deboli e calpestate di tutto il mondo.

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Gianluca 28 Dicembre 2023 - 16:57

Ignoravo totalmente la storia di Thomas Sankara , penso che anche se è materialmente morto così presto abbia vissuto veramente a differenza di tantissimi altri politici , che non sono spiritualmente mai nati quindi non possono morire . Perdonami la forte espressione . Ho letto Animal farm a scuola , lo ricordo ancora bene , bellissimo , è uno di quei libri che non si dimenticano mai .

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Tragicomico 4 Gennaio 2024 - 17:01

Concordo in merito alla lettura da te espressa, un libro quello di Orwell che offre un’esposizione chiara sul perché la politica raramente diventi un servizio verso i più deboli. Ecco perché l’esempio di Thomas Sankara è da tramandare ai posteri, affinché questa sacrificio non debba perdersi fra i cumuli di menzogne che riempiono la nostra quotidianità.

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Gianluca 7 Gennaio 2024 - 11:51

Giustissimo , grazie mille per avermela fatta conoscere , è illuminante scoprire personaggi così , fortunatamente significa che la vera umanità che sta dentro noi anime libere è più diffusa di quanto pensiamo .

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