Il valore della sconfitta è un diamante nascosto in una società come la nostra, improntata esclusivamente sull’edonismo, sulla competizione e la vittoria da ricercare a ogni costo. Un atteggiamento che dal mondo reale si è trasferito anche nella rete internet e sui vari canali social che pullulano di esseri vincenti, lussuriosi e nevrotici, vite glitterate e caricature ologrammate, ognuno con la sua ricetta stampata in fronte con su scritto “io ce l’ho fatta”.
Insomma, se non sei bello e vincente, se non sei un arrampicatore e uno sgomitatore sociale, se non sei in vetrina allora non sei nessuno in questa carovana di esseri lobotomizzati, figli di una cultura della vittoria che perseguono un solo obiettivo: vincere, sempre, non importa come o a scapito di cosa; l’importante è essere sul carro.
In uno scenario simile, figuriamoci se c’è posto per il valore della sconfitta nascosto come un seme nella disfatta, nella capacità di piegarsi senza spezzarsi, nell’imparare a saper perdere per rafforzarsi e comprendere che avere dei limiti è qualcosa di puramente umano, e rispettarli vuol dire rispettare se stessi.
«Ma io sono un uomo che preferisce perdere piuttosto che vincere con modi sleali e spietati. Grave colpa da parte mia, lo so! E il bello è che ho la sfacciataggine di difendere tale colpa, di considerarla quasi una virtù.»
(Pier Paolo Pasolini in un suo intervento sulla rivista “Vie Nuove”, 1961)
Alzi la mano chi non ha mai fallito, perso, commesso un qualche errore nella propria vita. Alzi la mano chi non ha mai assaporato il sapore della sconfitta in un momento di forte disillusione.
La verità è che gli insuccessi fanno parte di noi come un arto o l’aria che respiriamo. La differenza sta nel riuscire a metabolizzare tali circostanze, nel lasciar sedimentare il loro peso anziché scappare alla ricerca di una rivincita immediata.
Nel porre l’attenzione non tanto sull’insuccesso, ma su cosa si è imparato nel cercare di raggiungerlo, cosa si è scoperto di nuovo, cosa si è guadagnato dall’esperienza.
È questa la radice che contiene il valore della sconfitta e imparare a saper perdere non significa imparare a perdere, ma imparare dal perdere, che equivale a comprendere che perdere non significa essere dei perdenti.
In questo modo il verbo si spoglia del suo significato a senso unico, prettamente negativo, diventa un Giano Bifronte e porta con sé oltre all’insuccesso anche l’insegnamento verso l’accettazione dei propri limiti e una lezione su come trasformarli in qualcosa di propositivo, in un’opportunità evolutiva. La sconfitta prende così, talvolta, la forma di un segnale di “divieto di accesso” verso una strada errata, mentre cambiare strada è parte del percorso che ci riporta in carreggiata.
Una prospettiva filosofica di vitale importanza in una società come la nostra, sempre più materialista e competitiva, che ti lascia letteralmente disarmato dinanzi a una sconfitta e alla sua gestione, alla lezione che si porta appresso, all’umanità che ne scaturisce.
Ecco perché è necessario educare al valore della sconfitta, affinché imparare a saper perdere possa diventare una vittoria, perché ogni volta che perdiamo, in verità stiamo guadagnando qualcosa (da Eschilo a Dostoevskij, ci sono millenni di letteratura a insegnarlo).
«Accettare significa amarsi. Capire che non esiste nulla di noi che vada rigettato, che siamo belli così come siamo, con tutti i nostri chiaroscuri, i difetti, le contraddizioni. Significa comprendere che l’imperfezione è parte integrante della bellezza proprio come la diversità, che ogni lacuna è un’occasione di crescita, ogni errore il passo di una nuova evoluzione.»
(Dal mio libro “La cattiva abitudine di essere infelici”)
Guardatevi indietro, riavvolgete per un attimo il nastro della vostra esistenza e rendetevi conto di quante volte è stato necessario perdere per poter raggiungere i risultati che vi eravate prefissati. Sapete una cosa? Senza quelle sconfitte, a volte anche sonore, non avreste mai imparato la lezione, in altre parole non sareste riusciti a migliorarvi e vedere tutto da una prospettiva differente. Non avete vinto sul momento, ma avete imparato qualcosa di prezioso che vi ha permesso di fare dei passi in avanti, perché la sconfitta, e l’ardore che ne è conseguito, vi hanno permesso di attraversare una fase di cambiamento di rotta e di voi stessi.
Se vogliamo crescere, come individui e come società, allora dobbiamo abbattere il muro del pregiudizio che continua a vedere la sconfitta come una vergogna, una macchia da dimenticare e cancellare al più presto. L’essenza dell’apprendimento, in fin dei conti, non è tanto legata alla sconfitta fine a se stessa ma a come perdiamo, come siamo cambiati conseguentemente e cosa ne traiamo che non sapevamo prima, di noi stessi e di quello che ci circonda.
«L’importanza della sconfitta è capitale.»
(Jean Cocteau in “Oppio“)
Sarebbe bello se le nuove generazioni venissero da subito educate al valore della sconfitta, per comprendere che siamo tutti tasselli di un intreccio animico, protagonisti di un’esperienza meravigliosa chiamata vita, dove inciampare è lecito e rialzarsi è naturale. Generazioni consapevoli e capaci di imparare dal perdere ancor più che dal vincere.
Smettiamola quindi di considerare le sconfitte come un dramma, perché fanno parte delle eventualità e anche dei meriti altrui e a pensarci bene, in alcuni casi la sconfitta è salutare, là dove una vittoria può essere letale.
E liberiamoci una volta per tutte dall’ossessione del successo e dalla sindrome di voler essere sempre i migliori, in questo delirio di onnipotenza generalizzato.
Educhiamo le nuove generazioni al valore della sconfitta.
Impariamo dal perdere.
Prima di perdere la cosa più importante di tutte: se stessi.
17 commenti
Parole o meglio, riflessioni sacrosante, sono perfettamente d’accordo su tutto…
Max
Grazie Massimo, mi auguro di averti ancora come lettore. Alla prossima!
Io non perdo mai: o vinco o imparo. Questa una frase di Nelson Mandela la cui vita, tra lunghi anni di lotta e carcere,tra sconfitte e vittorie, resterà un esempio per tutti.
Una frase stupenda che racchiude una grande lezione di vita. Grazie Rosa.
Ciao Ivan, evidentemente, se vediamo solo il lato negativo della faccenda, sarà difficile pensare che da una sconfitta potrebbe nascere qualcosa di positivo. Eppure, per quanto possa sembrare strano, la parola perdere va sempre abbinata al suo opposto e cioè vincere. Ogni volta che perdiamo, guadagniamo qualcosa, in questo senso, nulla è totalmente buono o totalmente negativo. Per questo motivo, quando ci insegnano che la sconfitta è assolutamente negativa, ci viene presentata un’interpretazione errata della realtà. Perdere ci mostra sempre una sfaccettatura di noi stessi: percepire che è la strada per il successo persino nel fallimento, dunque, esiste la dualità. Buona vita a tutti.
Ciao Fabrizio, sono pienamente in accordo con la tua riflessione, ogni situazione porta in grembo il suo opposto e viceversa. A volte si perde su di un fronte, ma si vince su di un altro; a volte si perde fuori e si vince dentro. Dove vincere non equivale a essere “i migliori” come spesso si pensa, ma significa aver aggiunto un nuovo tassello alla propria esistenza, un nuovo passo in avanti. Perché in fondo è questo il senso stesso del vivere: ossia, evolvere.
Complimenti Ivan
Per la scelta delle parole , dei concetti,
fluidità ed essenza.
Questi scritti sono come ascoltare un “sano amico
intelligente”, Dio solo sa quanto ne abbiamo bisogno tutti.
Grazie tante
Grazie Stefano, ricevere un complimento per un proprio scritto è come ricevere una trasfusione di linfa, così da continuare a condividere “fluidità ed essenza”, che poi è tutto ciò che muove e trasforma l’universo. Un abbraccio
La filosofia del vincere è spesso legata alla debolezza, all’arroganza, all’incapacità di vivere. Il dualismo vincere e perdere sono due lati della stessa medaglia: si perde solitamente esteriormente, tuttavia si perdere anche l’occasione di riconoscere se stessi, in questo caso ho perso due volte. Posso vincere esteriormente e, paradossalmente, vincere anche interiormente se riconosco il modo (le intenzioni, i pensieri, le parole, le scelte, ecc) con cui ho vinto, in questo caso ho vinto due volte. Il più delle volte però si vince o si perde solo esteriormente, quasi come se l’interiore non esista. Domando: quale di queste due vincite è più importante? Quella esteriore e spesso materiale oppure quella interiore che ci permette di essere persone migliori? Lo so, è una domanda con la risposta inserita. Quante volte facciamo una domanda aspettandoci una certa risposta? Quante volte non diciamo tutto quello che sappiamo perché vogliamo avere una certa risposta? Questi sono giochi di potere che sfuggono alla consapevolezza. C’è una verità che tutti conoscono: fa molto male riconoscere se stessi. E c’è una verità non detta: con il tempo fa sempre meno male, tuttavia ci vuole coraggio e molta costanza per andare avanti. Il racconto di Ivan ci racconta che in ogni esperienza, vincitori o perdenti che siamo, possiamo sempre accrescere noi stessi. Semplice da dire, complesso ma possibile da vivere. Se poi guardiamo la società e vediamo giovani disadattati o arroganti è perché le famiglie o meglio i genitori sono troppo pronti a difendere i figli dai loro stessi errori, rendendoli in questo modo sempre più accentrati sul loro ego e sul sempre dovuto, in pratica persone durissime fuori e dentro fragilissime. Un gravissimo errore. Ovviamente, grazie a chi è consapevole di questi giochi, non è così per tutti.
Concordo Paolo, tra l’altro il vizio di sminuire le sconfitte ed enfatizzare le vittorie la dice lunga sulla comprensione di entrambe. Come giustamente dici, sono due facce della stessa medaglia, entrambe possono risultare “utili” ai fini evolutivi, non ha senso considerare un solo lato e sminuirne l’altro. La medaglia non vale di più da un lato e di meno dall’altro, il suo valore rimane intatto, che la si guardi da un lato o dall’altro. Una vittoria o una sconfitta portano entrambe in dono un “valore” che sta a noi accogliere, comprendere e, appunto, valorizzare. Altrimenti una vittoria sarà inutile e una sconfitta rassomiglierà più a una disfatta.
Molto bello, continuerò a leggerti, grazie.
Grazie Elisa, allora buon proseguitmento di lettura. A presto!
Caro Ivan,sarebbe bello se alle nuove generazioni si potesse insegnare tutto ciò.
Ma assistendo a una qualsiasi gara sportiva dei nostri figli(per fare un esempio) ci si rende subito conto che non è possibile se il genitore non ha imparato prima lui questa importante lezione.
I tuoi scritti sono un seme,e sicuramente porteranno altre persone a coltivare riflessioni e produrranno altri semi.
Grazie per il tuo impegno.
Cara Franca, l’esempio di vita quotidiana da te citato è un emblema tangibile dell’ossessione verso la cultura della vittoria e del perfezionismo. Figli che vengono al mondo e da subito devono risultare perfetti e vincenti, l’errore è bandito, risultare imperfetti è una colpa da espiare. In uno scenario simile è evidente che la responsabilità non è delle nuove generazioni ma di chi le educa.
Grazie per avermi letto ancora una volta, un abbraccio!
Sottoscrivo ogni parola , nello sport non mi sono mai ritenuto ossessionato dalla vittoria . Anche Michael Jordan disse che nella sua eccezionale carriera ebbe comunque più fallimenti che vittorie e lo aiutarono a migliorarsi . Penso che in generale imparare sia la cosa fondamentale e se c’è il massimo impegno non dobbiamo rimproverarci le sconfitte . Nessuno è perfetto , nessuno vince sempre . Chi è umile può vincere più di altri con maggiori abilità , inseguire la vittoria ignorando il prezzo morale porta alla sconfitta interiore , come disse Pasolini .
Caro Luca, come ben sottolineato da Michael Jordan, anche i più grandi campioni inciampano e cadono. Sono proprio questi momenti di sconfitta, se affrontati con umiltà e tenacia, a forgiare il carattere e a spingerci verso il miglioramento continuo. La vittoria, in quest’ottica, diventa un mero traguardo intermedio, un segnale che stiamo percorrendo la giusta strada, ma ciò che conta è l’impegno profuso, la dedizione e la passione con cui ci dedichiamo a ciò che amiamo.
Confermo , mi capita spesso di fare cose non unicamente per un preciso obiettivo ma soprattutto per il piacere nel farle , come scrivere . Penso anche che vincere significhi principalmente superare noi stessi , un avversario leale non è un nemico ma un alleato che ci aiuta a migliorare .