“Labor” e “Opus” sono due diversi termini latini che servivano a indicare due diverse forme di lavoro. C’era il labor, ossia il lavoro degli schiavi, quello necessario, meccanico, fatto di solo dovere. E poi c’era l’opus, la parte nobile e creativa del lavoro, quella che dà voce alle passioni, alle vocazioni del fattore umano. Si tratta di una scissione concettuale molto importante, soprattutto alla luce di quanto è avvenuto dopo, quando questi due termini sono stati tradotti con la parola “lavoro” usata in senso generico, appiattendo di fatto ciò che non appartiene alla stessa linea retta.
Una stortura che ci è costata cara, con un colpo di spugna ci siamo sbarazzati dell’enorme saggezza degli antichi latini che distinguevano fra labor e opus, due approcci differenti che la nostra società schiaccia in un solo vocabolo. Così il “lavoro” è diventato una qualsiasi attività reiterata che fa girare l’economia, basata sull’offerta di prodotti e servizi il cui valore è identificato da un costo e da uno stipendio. Tutto il lavoro restante, invece, viene considerato come un passatempo.
Ed eccoci alla questione più cruciale e spinosa, ecco l’inganno: soltanto il labor si è fatto lavoro! Sì, il lavoro degli schiavi, quello fatto per dovere, quello che ti porta ad annullarti pur di portare a casa la pagnotta è diventato in questa società l’unico concetto possibile di lavoro. Un’attività reputata necessaria e doverosa, anche se ti annienta emotivamente, anche se ti uccide fisicamente.
L’opus invece è stato sommerso da enormi strati di sovrastrutture mentali e retaggi culturali secondo i quali tutto ciò che non comporta sacrificio e annullamento di sé, non è lavoro. Siamo stati derubati della parte nobile e creativa del lavoro, quella che richiede tempo, quella che inventa, quella che ti fa sentire realizzato e al contempo migliora la qualità della vita.
Il lavoro è diventato così soltanto fatica, soltanto labor, un obbligo, una cosa necessaria anche se procura mal di vivere ed è proprio quando pensi che qualcosa sia ineluttabile che smetti anche di lottare, anzi la assecondi, come un criceto che non può fare a meno di correre sulla ruota fino a quando non stramazza a terra.
“Ci consumiamo dietro lavori senza spessore e senza eticità, che quasi mai abbelliscono il mondo, ma al contrario lo sviliscono, gettandogli addosso badilate di letame. Sacrifichiamo i nostri migliori anni dietro lavori eterni, barattiamo la nostra felicità per mestieri senza scopo, senza obiettivi, senza progetti.”
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo“)
Rispolverare la differenza fra labor e opus vuol dire poter affrontare un argomento complesso da una prospettiva più ampia, altrimenti vai a porre male una questione sulla quale farai fatica a districarti. E fai fatica a comprendere anche una bella fetta della nuova generazione che non ha scelto di “non lavorare”, ma ha scelto l’opus al labor, ovvero non faccio un lavoro perché devo farlo, ma perché voglio farlo. Questa è la rivoluzione in atto ed è qualcosa di epico.
Spiace dirlo, ma l’insoddisfazione di molte persone è causata proprio da giornate troppo piene di labor e prive di opus. Da lì si sviluppa quella cattiva abitudine all’infelicità di cui spesso ho discusso. Vi è la necessità impellente di uscire dalla logica del lavoro come schiavitù quale unica scelta possibile.
Ma lavorare è essenziale e vivere senza lavorare è un’utopia, lo sappiamo tutti. Ciò che occorre è concepire il lavoro in modo differente, riducendo al minimo le costrizioni e la sofferenza. Il lavoro non deve essere solo arricchente per le proprie tasche, ma deve esserlo soprattutto per se stessi e per la comunità. L’opus è sempre e solo una scelta, mentre il labor è un dovere e non importa il tipo di lavoro che fai, la distinzione fra labor e opus è soprattutto una questione di approccio.
Le mani che impastano il pane, le mani che scrivono un’opera, che dipingono o modellano, le mani che lavano, che avvitano, che offrono direzioni, le mani che raccolgono chicchi di caffè, sono tutte Sante se si muovono con l’intento di fare qualcosa per l’altro, per il prossimo. Non per smania di gloria, non per egocentrismo e nemmeno solo per un tornaconto economico; ma per Amore.
Eccolo il vero senso del lavoro, germoglio visibile del seme dell’utilità: bisogna essere dei cercatori di senso prima ancora di essere lavoratori.
Vivere di opus è fattibile, ma bisogna crederci fino in fondo. Personalmente ho vissuto per anni in una condizione fra labor e opus, ero mezzo schiavo e mezzo intellettuale. È stato un periodo di transizione necessario, ma davanti a me avevo soltanto un obiettivo: sempre meno labor e sempre più opus. E ho dovuto sentire le mille voci dei disfattisti, di chi ti dice che sicuramente andrà male, che non hai talento, di coloro che ti rammentano come i soldi non basteranno, la pensione, il labor che nobilita… fanculo!
Sapete qual è la verità? Che adesso lavoro più di prima, ma non è più labor, è opus. Adesso posso permettermi il lusso di investire il mio tempo in attività scelte da me, spinto non dal dovere, ma dal solo desiderio di svolgerle. E se a giovarne non sono state le mie tasche – più vuote rispetto agli anni passati, il mio spirito invece è tornato a vedere la luce. Finalmente ho iniziato a sentire cosa vuol dire realizzarsi fin dentro le viscere, sentire il piacere di fare qualcosa che possa aiutare le altre persone a vivere meglio, per espandere le coscienze e distribuire cultura. Ma nulla è caduto dal cielo, la fortuna non esiste se non te la crei e se non la scegli.
È possibile incrinare tutto quel sistema di credenze fatto di obblighi, scadenze e doveri, fermare la ruota è un’opportunità, per smettere di correre e tornare finalmente a respirare in libertà. Ma le opportunità bisogna coglierle con coraggio, per uscire da quello stato dell’inetto a vivere magistralmente tratteggiato da Italo Svevo nel suo romanzo “Una vita”.
La vita non cambia se non osi, se non inverti tendenze e abitudini, se non ti ribelli alla legge dell’accidente e a un modo di vivere schiavizzante, così da poter trasformare te stesso attraverso il lavoro.
Ma non temete, non è mai troppo tardi per smettere di sprecare la propria vita e ricominciare a vivere. A vivere per davvero!
Buon opus a tutti.
10 commenti
Ciao Ivan, l’anno scorso a 57 anni sono andato in pensione, nella mia vita ho conosciuto tanto Labor e poco Opus, indottrinato fin dall’età di 14 anni non avevo consapevolezza di quello che mi aspettava. Per fortuna mi sono risvegliato una decina di anni fà e sono passato a concepire il lavoro in modo differente, poi è arrivata la pensione, sono sceso dalla ruota del criceto, ho una buona qualità della vita e non ho nessuna patologia grazie al cielo. Adesso faccio quello che mi più mi piace, spendo il mio PREZIOSO tempo come e dove voglio, praticamente non vivo una vita da schiavo, in fotocopia come prima, lavora, produci consuma. In pensione comincio a vedere cose che prima non vedevo, lo trovo strano ma è la triste verità. Lavorare per necessità, o lavorare per passione crea una bella differenza che può cambiare la percezione delle nostre giornate. L’insoddisfazione di tante persone, secondo me, è causata da giornate troppo piene di labor e prive di opus. Dal momento in cui ci alziamo per andare a lavorare, ma anche quando corriamo per andare a fare la spesa o svolgiamo una qualsiasi delle comuni attività quotidiane, è tutto labor. Opus sono le passioni, sempre relegati nel poco tempo libero che ci rimane, come avessero una priorità più bassa. Eppure sono le cose che rendono le nostre giornate degne di essere vissute. Una volta Lenin disse: la libertà è così preziosa, ma così preziosa che deve essere attentamente razionata. Buona vita a tutti.
Ciao Fabrizio, grazie per la tua testimonianza così personale, la trovo molto preziosa. Come ho detto, non è mai troppo tardi per ricominciare a vivere, quello che serve è una svolta che nel tuo caso è coincisa con il pensionamento. Ma anche qui, bisogna avere una certa predisposizione verso l’opus, ovvero anche nell’andare in pensiero è l’approccio che fa la differenza. Molte persone la pensione non riescono a godersela perché sparito il lavoro sono spariti anche loro, in quanto per anni si sono identificate con ciò che facevano, con il ruolo che svolgevano e una volta finito, ecco il dramma, personae totalmente spaesate e depresse, perché nessuno ha insegnato loro ha gestire così tanta libertà e il tempo libero a disposizione.
Ti mando un forte abbraccio, goditi il tuo meritato opus.
Forse, questo “opus” è una di quelle cose insieme alla libertà, più difficili da realizzare e da mantenere nel tempo. Personalmente ho iniziato con opus e quasi niente labor ma poi, nel tempo, è diventato tutto labor. Sì, ok, ci sono voluti oltre trenta anni, però non è il solito labor quando arrivano a farti odiare non tanto il lavoro quanto la tua passione, eh, sì, la mia passione per l’informatica. Tuttavia, dopo decenni di problemi, di solitudine, di incomprensioni, di litigi, di assenza di strumenti e la totale mancanza di rispetto e fiducia, corrodono in profondità la tua integrità, la tua voglia di fare, di aiutare, di dare il meglio agli altri. Non ricordo quante volte mi sono sentito dire “ma chi te lo fa fare” e io continuavo comunque il mio lavoro nel migliore dei modi affinché fosse più opus che labor. Però non è facile. Se oggi opus è apparentemente morto e sembra sostituito totalmente da labor, in realtà c’era e c’è sempre stato un opus interno, un secondo binario, che mi ha fornito la spinta ad andare avanti anche nel labor. La ricerca interiore e le scoperte che ho fatto nel corso di una vita mi hanno portato a tenere convegni, conferenze, stage, incontri per dare agli altri nuovi spunti e spinta alla conoscenza di sé. Forse, con la testa di oggi, potevo rendere quel mio interesse secondario il mio vero lavoro perché poteva essere un onnipresente opus. Purtroppo ho dovuto costruire una migliore fiducia in me stesso distrutta da problemi famigliari in anni. So che rischio di passare per disfattista ma la verità è scritta nel mio corpo e nella mia mente, in una sola parola: nella mia storia. È andata così, vero che si può ricominciare in ogni momento, tuttavia gli anni passano e il fisico e la mente non sono più quelle di una volta, ci sono cose che non puoi più fare e ne devi tenere conto. Quello che voglio dire alla fine è: se non potete avere un lavoro opus, c’è sempre la possibilità di averlo in un secondo binario, perché non siamo treni ma esseri umani e sappiamo (questa è la mia deformazione professionale) andare in multitasking. Buon opus a tutti!
Ciao Paolo, ha sottolineato un aspetto molto importante e che non ho menzionato nell’articolo: l’opus, una volta raggiunto, non è definitivo, va protetto e dosato, affinché non si trasformi in labor. Personalmente anch’io potrei scrivere di più, organizzare seminari, partecipare a convegni, interviste e via dicendo, ma ecco avvicinarsi quel confine labile dove l’opus rischia di trasmutarsi in labor. Motivo per cui, come ho sottolineato nell’articolo, non è tanto ciò che si fa a fare la differenza, ma come lo si fa. Questione di approccio appunto.
Nella seconda parte del tuo commento hai evidenziato l’opus per eccellenza, il cosiddetto lavoro su di sé, che è a tutti gli effetti un lavoro con uno scopo estremamente nobile, un percorso disponibile per chiunque, a qualsiasi età, a patto di avere uno stomaco forte e un coraggio non indifferente.
Grazie per questo tuo arricchimento, a presto Paolo.
Un grazie di cuore a te Ivan. Sì, verissimo quanto dici e forse quel secondo binario è rimasto lì forte e definito come opus proprio perché non è mai diventato labor. Posso dirti, ma è solo la mia opinione, che anche ai deboli di stomaco è possibile fare una ricerca interiore, però è necessaria indubbiamente una grande dose di coraggio. 😉
Stupendo! Ben scritto e pensato! Ottimo Opus! Grazie Grazie Mille
Grazie per essere passato da qui Vincent, accolgo con gioia il tuo complimento.
Grazie Ivan , conoscevo il termine opus dei ma non il vero significato . Io ho imparato a dosarlo con il labor a causa di un periodo di disoccupazione , dove iniziai a scrivere e ricominciai a leggere , solo dopo mi resi conto che lavoravo su di me , come dici e fai tu è tempo speso ottimamente nel cercare il senso di tutto e nel diffonderlo a chi vuole ascoltare . Ti sono grato per il tuo opus che ha sviluppato il tuo grande talento .
E io ti sono grato per l’importanza che dai ai miei scritti e l’attenzione che ci metti nel leggermi. Sei un lettore prezioso e un conoscente fidato, ti auguro un 2024 pieno di opus.
Buon opus anche a te . Un abbraccio