Nietzsche E La Critica Al Pensiero Calcolante Per Un Po’ Di “Possibile”

Tragicomico
4,K letture

Con la sua critica al pensiero calcolante, il filosofo Nietzsche ci invita ad approcciarci alla parte di mondo a noi sconosciuta, senza arroganza e prepotenza, ma con un’apertura verso il Possibile, senza ridurre tutto il pensiero alla mera calcolabilità. Una filosofia che si apre verso il possibile. Verso ciò che non è calcolabile, quindi misterioso, verso ciò che ci induce a ragionare e razionalizzare. Del resto, che sia nata dalla meraviglia o dal terrore, sin dalle sue origini la filosofia è stata il tentativo di imparare a gestire tramite la comprensione questi due sentimenti solo apparentemente diversi.

Ciò che accomuna questi sentimenti è l’esperienza che essi provocano, un’esperienza in entrambi i casi destabilizzante. Chi prova meraviglia, infatti, vede il mondo in maniera nuova e trasfigurata, con tutta l’incertezza che questa novità comporta. Chi prova terrore è come pietrificato di fronte a fatti o eventi troppo più grandi di lui, sui quali non sembra possibile alcun controllo. In entrambi i casi, chi prova uno di questi sentimenti viene da esso sopraffatto. Da questo punto di vista, il mito è l’espressione umana che più di ogni altra ha rappresentato l’uomo in balia delle forze, ad un tempo meravigliose e terrificanti, che lo sopraffanno.

La filosofia nasce proprio in opposizione alla “superstizione” del mito, come reazione alle credenze mitiche che facevano della società umana un agglomerato di pedine nelle mani del Fato. Nel filosofare delle origini c’è un’immensa forza di rivalsa. Esso è manifestazione di un orgoglio prettamente umano che fino ad allora non si era mai storicamente manifestato. Perciò la filosofia dona all’uomo la dignità proprio in quanto uomo e, con essa, gli offre la libertà di affermarsi storicamente da sé.

Ciò che la filosofia delle origini vuole fare è tentare di comprendere con la ragione le forze cosmiche che il mito raccontava ma non spiegava. Questa comprensione tramite ragione è però talvolta mossa da un motivo più profondo e occulto: il comprendere filosofico-razionale è finalizzato al controllo di queste forze. E nella sua forma di eccesso diventa un tentativo di trasformare l’universo in un teatro di occupazione, dove il “Possibile” non trova più spazio, dove tutto deve essere ordinato, calcolato e perfettamente conoscibile.

Del resto, basta fare un nel balzo di oltre 2000 anni per arrivare ai nostri giorni. La nostra società ipertecnologica e ipercalcolante nasce sul solco del motivo originario che ha spinto l’uomo a filosofare. E, anche se non lo sappiamo quasi più, ogni nostro progetto, grande o piccolo che sia, non è altro che un lontano ma conseguente derivato del pensiero filosofico iniziale e del suo tentativo di controllare l’incertezza.

Nel progettare noi costruiamo dei modelli di mondo che ne analizzano le circostanze e ne prevedono gli sviluppi. Basta che rivolgiamo un minimo lo sguardo verso le nostre attività e vediamo quanto ognuna di esse è frutto di un progetto calcolante che ne sta a monte e la indirizza. E questo accade ad ogni livello del vivere umano per come si è affermato nel nostro Occidente. Infatti, qualsiasi sia il livello che si va a considerare – dal far quadrare i conti del fruttivendolo sotto casa, ai calcoli sofisticati degli scienziati per far atterrare una sonda su Marte, fino alla speculazione filosofica sul modo d’esser-presente dell’Essere (la cosiddetta “metafisica della presenza”) – il nostro modo occidentale di affrontare l’esistenza è sempre fondato su un qualche progetto e calcolo.

Insomma, costantemente noi utilizziamo modelli interpretativi che adoperiamo per dosare le nostre azioni nel modo più proficuo possibile. Più variabili riusciamo a considerare, più sarà possibile per noi addomesticare l’incertezza del mondo e piegarla ai nostri scopi. Questi modelli non sono altro che frutto dello sviluppo e dell’affinamento del modo di pensare filosofico-razionale e calcolante inaugurato in Grecia qualche secolo avanti Cristo.

L’utilizzo da parte nostra di questo pensiero calcolante, come ogni cosa, ha però anche dei lati d’ombra, i quali limitano il campo infinito del Possibile. Se tale ragione può aiutarci a districarci nella pianificazione delle nostre attività, dall’altro lato essa può anche risultare una specie di prigione per lo sviluppo di un pensiero più profondo; una prigione che per i più risulta addirittura invisibile, tanto ovvio e “naturale” è diventato il modello di pensiero che fa del calcolo e della previsione i suoi capisaldi.

E se c’è un filosofo che più di ogni altro ha sospettato di questo modo di dare senso al mondo, quello è proprio Friedrich Nietzsche.
Infatti, sulla fine dell’epoca moderna, questo filosofo tedesco ha posto sotto questione quel concetto che qualche anno più tardi verrà definito come “Pensiero calcolante” da Heidegger (che si rifà molto alla filosofia di Nietzsche) e, al contempo, ha inaugurato un modo alternativo di pensare, un modo in cui un nuovo stile linguistico, poetico e aforistico, si fonde con pensieri radicali e sovversivi mai pensati prima di allora, e che provo a riassumere formulando le seguenti domande:

Siamo sicuri che il modo con cui abitualmente pensiamo non sia sorretto da Principi
in realtà tutt’altro che universali?
Da Principi che forse sono tutt’altro che assoluti e corretti e che, quindi, proprio per questo,
necessitano anch’essi di essere approfonditi e messi in discussione?

Questo è ciò che Nietzsche si chiede in tutta la sua opera. Il domandare nietzscheano è estremo. La sua portata è capace di far tremare le fondamenta del Palazzo Metafisico che il “pensiero calcolante” ha eretto in due millenni di storia. Del resto, come afferma Claude Levi-Stauss nella sua opera “Il crudo e il cotto: «il filosofo non è l’uomo che fornisce le vere risposte; è quello che pone le vere domande». Per questo suo radicale domandare, Nietzsche è il grande filosofo che inaugura una nuova era per il pensiero.

Il gesto filosofico di Nietzsche è lucido e accurato. Il filosofo ha ben chiaro qual è il suo bersaglio, cioè l’impalcatura metafisica di stampo idealistico e di ispirazione platonico-cristiana (la stessa impalcatura che struttura e indirizza anche il nostro modo di pensare, che lo si voglia o meno) . Gli strumenti di cui dispone (analisi genealogica dei valori, esercizio del sospetto, pensiero in forma aforistica e poetica) sono da lui utilizzati con una lucidità sorprendente, una ferocia meticolosa e una bellezza artistica disarmante.

“Questa è forse la maggiore profondità di Nietzsche,
la misura della sua rottura con la filosofia:
aver fatto del pensiero una potenza nomade.”
(Gilles Deleuze – “Nietzsche e la filosofia“)

L’obiettivo che persegue, infine, ha a che fare con la liberazione del pensiero calcolante attraverso l’eccesso. Ad un ambiente calcolabile e, perciò, rassicurante, egli oppone un luogo di pensiero sconosciuto e selvaggio, nel quale il Possibile possa esprimersi in tutta la sua potenza. A tal proposito mi viene in mente uno slogan Sessantottino ripreso dal filosofo francese Gilles Deleuze in alcune sue opere. Lo slogan grida così:

Un po’ di Possibile sennò soffoco!

Il Possibile che chiedevano a gran voce gli aderenti al movimento del ’68 francese è proprio il Possibile che Nietzsche cerca di far intravedere con la sua filosofia, cioè quel campo vergine e selvaggio di possibilità raggiungibile soltanto fuoriuscendo dal terreno recintato del buon senso comune. Sì, perché fintanto si resta all’interno del recinto, il Possibile non può che manifestarsi in maniera estremamente limitata. Piegare il Possibile al prevedibile e al progettabile significa sottomettere l’infinità delle possibilità che l’esistenza può offrire al mero calcolo umano, spesso privo di visione.

Ovviamente quanto detto finora non ha affatto l’intenzione di sotterrare il valore che ha la nostra tradizione millenaria di pensiero. È grazie ad essa se abbiamo fatto scoperte incredibili sotto i più svariati ambiti. Tuttavia, il pensiero calcolante che guida la maggior parte delle nostre azioni quotidiane, può risultare anche una grossa limitazione di tutte le possibilità che l’esistenza può offrirci. Raggiunto uno sviluppo tecnologico inimmaginabile fino a qualche anno fa, credo sia arrivato il momento di ri-volgere l’attenzione su noi stessi ri-pensando le fondamenta sulle quali basiamo il nostro pensiero, sia per riconoscere i limiti che esso impone al Possibile, sia per provare ad integrare esso con nuove potenzialità di crescita.

C’è un altro grande filosofo, anche se diversissimo da Nietzsche per il modo di filosofare, il quale, però, condivide con il filosofo del superuomo lo stesso scopo della filosofia. Sto parlando di Ludwig Wittgenstein  che nel suo trattato “Ricerche filosofiche” rappresenta il pensiero limitante con la metafora della mosca intrappolata nella bottiglia. E alla domanda “Qual è il tuo scopo in filosofia?” risponde: “Mostrare alla mosca la via d’uscita dalla sua trappola”.  In sostanza la filosofia ha il “dovere” di indicare la via d’uscita a ciascuno di noi, ma uscire dalla trappola è compito nostro.

E nel nostro caso la trappola è rappresentata dal recinto che la ragione calcolante impone al nostro pensiero. La via d’uscita tende verso l’apertura ad un Possibile eccedente i calcoli, le previsioni e i progetti da buon senso comune. La mosca è ciascuno di noi, assuefatti come siamo ad un modo di pensiero che ormai ci risulta quasi-naturale e che, per ciò, non riusciamo neppure a considerarlo per quello che è, cioè, come tutte le cose, limitato e parziale.

Tragicomico

I MIEI LIBRI PER VOI

 

Nei miei libri troverete spunti di riflessione per esplorare il significato della vostra esistenza.
Affronteremo insieme temi come il tempo, la felicità, l'amore, la libertà, il dolore e la rinascita.
Vi accompagnerò in un percorso introspettivo per riscoprire la vostra vera essenza.
Perché la vita è un dono prezioso e va vissuta con consapevolezza.
Scegliete il libro che risuona in voi e fatevi un regalo.
Buona lettura!

3 commenti

Luisa Meloni 1 Dicembre 2020 - 17:15

Come si può mostrare alla mosca la via d’uscita dalla bottiglia? Se è viva e la bottiglia è tappata non credo sia possibile. Ma se la mosca alla fine morisse, qualcuno forse potrebbe ripulire la bottiglia. A quel punto la soluzione potrebbe essere la morte. Certamente la morte è liberatoria.

Rispondi
Tragicomico 1 Dicembre 2020 - 19:30

Ciao Luisa, no la bottiglia ovviamente non è tappata, ma come ben saprai le mosche non sempre trovano facilmente la via d’uscita, questo succede anche quando ci entra una mosca in casa e tentiamo di farla uscire fuori: impresa piuttosto ardua! Ma ciò che conta è che la mosca è lei stessa ad entrare nella bottiglia, quindi siamo noi a imbrigliarci in una situazione; vuoi volontariamente, vuoi per abitudine (nel modo di pensare), vuoi per inerzia. Quindi lo scopo di adottare un “sistema nuovo” è anche quello di farti vedere che c’è una via d’uscita, senza che perdi tutta la tua vita nel girare in cerchio o a vuoto.

Rispondi
guido mitidieri 8 Dicembre 2020 - 12:45

Complimenti. Ha centrato il punto meravigliosamente bene facendo vedere il limite dello stesso Wittgenstein.

Rispondi

Lascia un commento!

Articoli che ti potrebbero interessare