Esiste il popolo, dove i membri cittadini sono compatti e coesi, pronti a battagliare per una propria condizione o un ideale, attenti quando serve a sfidare chiunque voglia dividerli.
E poi esiste la popolazione, un insieme di persone diverse fra loro che vivono in uno stesso territorio, dove non esiste il sentimento di appartenenza ad una collettività nazionale ma vige un tutti contro tutti, dove la propria condizione viene migliorata togliendo da quella degli altri e mai collaborando assieme.
Ecco perché non basta una popolazione per fare un popolo.
E ora diciamocelo francamente: noi italiani non siamo mai stati un popolo avvezzo all’unanimità e all’unità, non siamo omogenei, non lo siamo geograficamente e nemmeno culturalmente, siamo sempre divisi su tutto, non remiamo mai tutti nella stessa direzione, anzi spesso remiamo proprio l’uno contro l’altro.
Ottaviano o Marco Antonio, Guelfi o Ghibellini, Coppi o Bartali, Dc o Pci, vax o no vax. Anche oggi, a oltre un secolo e mezzo dalla fantomatica “unità”, non abbiamo ancora la coscienza di essere una Nazione – Nazionale di calcio a parte – per via di motivazioni storiche che continuano a germogliare sul nostro territorio. Del resto è scritto anche nel “Canto degli Italiani”, conosciuto come Inno di Mameli: “Noi fummo da secoli calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi.“
Non siamo un popolo nel grande e nemmeno nel piccolo: il condominio ne è l’esempio più lampante.
Questa mancanza di unità e di direzione fa sì che la popolazione abbia un solo interesse, quello per il proprio giardino, e di conseguenza si muove solo per convenienza.
“Popolo” lo siamo solo sulla carta, del resto ci siamo ritrovati ad essere una nazione assemblata, dove non ci sono ideali o valori del prossimo di cui all’italiano interessi qualcosa. Siamo culturalmente cresciuti sul farcela emergendo a discapito di qualcun altro, non abbiamo un motto, un pensiero, un credo, un qualcosa che ci faccia sentire uniti e funga da bussola, facendoci pensare e dire “questo non lo accettiamo” nel momento in cui veniamo prevaricati di qualcosa di collettivo.
Mi verrebbe da scrivere che l’unità d’Italia sia stata fatta proprio all’italiana maniera. Perché per una popolazione da sempre storicamente dominata, abituata ad arrangiarsi per sopravvivere, dopo secoli diventa un tratto geneticamente determinato, diventa così la popolazione dell’io speriamo che me la cavo.
Certo, siamo stati capaci anche di notevoli azioni corali, come i moti sessantottini, ma quell’epoca è un’eccezione che in fondo conferma la regola.
Gli italiani, abituati da secoli ad essere sudditi più che cittadini, sono fondamentalmente pigri, della serie “armiamoci e partite”. Tizio aspetta che sia Caio ad alzare la testa e Caio aspetta che sia Tizio a protestare.
Un “divide et impera” strutturale, che scorre nelle vene di milioni di individui che si fanno la guerra tra loro senza mai pensare lontanamente di unire le forze contro il nemico. Una situazione descritta dalla perfezione da Manzoni ne “I promessi sposi” con la parabola dei capponi; a dimostrazione che nelle difficoltà anziché aiutarci l’un l’altro, continuiamo a beccarci vicendevolmente.
Panem et circenses (pane e giochi circensi) scriveva il poeta latino Giovenale, satireggiando sulla politica degli imperatori romani che concedevano alla plebe queste periodiche elargizioni, in modo da ottenere il loro consenso silente. Ad oggi, a duemila anni di distanza, non pare essere cambiato granché. Vediamo ancora tanti circhi, ma poco pane.
Offri all’italiano qualche promessa, una TV, offrigli degli spettacoli come le partite di calcio e lo tieni contento e fermo sul suo divano, tanto che si entusiasmerà anche dinanzi alle trasmissioni più stupide, insensate e demenziali.
Si continua a ragionare solo in termini di bisogno personale anziché in termini di cosa è giusto e cosa no per la collettività. Chi ha la pancia piena se ne frega di chi ha la pancia vuota, chi ottiene un diritto si fregia di averlo tolto a qualcun altro e a ogni dito puntato se ne aggiunge un altro. La presenza di una popolazione anziché di un popolo la si evince anche dalla folta schiera di soggetti acritici presenti, perlopiù creduloni e avidi, che offrono la loro materia grigia a continui sciacqui, risciacqui e centrifughe.
Perché il popolo ha un’anima collettiva che sopraintende e governa, cosa che la popolazione non ha, motivo per cui è sempre governata e soggiogata.
Tutti lo abbiamo sperimentato sulla “nostra pelle” in questi ultimi anni, dove c’è stato un aspro scontro di vedute per quello che, ipoteticamente, doveva essere un bene collettivo, ma che in verità si è dimostrato un forte atto di invadenza e di divisione, un tutti contro tutti senza alcun scampo: chi a favore delle chiusure chi contro, chi per l’obbligatorietà e chi voleva decidere liberamente se e come curarsi. Abbiamo assistito a mesi interi di persecuzioni varie, linciaggi mediatici e insulti da ogni angolo.
È questa la cosa più grave che uno Stato possa mai commettere, esattamente come un genitore che mette i propri figli l’uno contro l’altro. Imperdonabile.
Ma la verità è che facile governare quando le rane sono arrivate al punto di cottura, soprattutto se le suddette pensano solo a se stesse, anziché aiutarsi a vicenda.
Motivo per cui ribadisco: non basta una popolazione per fare un popolo!
6 commenti
Lo stato italiano non ama il suo popolo, ma pochi italiani lo capiscono finché sono distratti da armi di distrazione di massa, vedi il calcio, e tutto quello che propone la Tv che consiste nel deviare l’attenzione delle persone da problemi importanti attraverso il diluvio di informazioni insignificanti. La TV scatola delle illusioni la chiamava Tiziano Terzani, e la Tv ha un ruolo importante sulla manipolazione delle menti pensate e non pensanti, dando informazioni preconfezionate. Come dicevi tu Ivan (dividi et impera) e come divisione penso che ormai siamo sul punto di non ritorno. Ecco perché gli italiani sono in gran parte una popolazione e non un popolo, non c’è unitarietà, e tutti i governi si impegnano per mantenere un mondo distopico governato da un regime che annichilisce la volontà individuale e il libero pensiero di tutti i suoi cittadini. Ciao Ivan.
Fondamentalmente lo scopo di chi governa è sempre lo stesso, fomentare discordie affinché la “guerra dei poveri” possa andare avanti, nei secoli dei secoli. Al giorno d’oggi le suddette “armi di distrazioni” sono sempre più onnipresenti, fin dentro le case, un aspetto già profetizzato da Orwell in “1984“. Confermo che la nostra società più che utopica è decisamente distopica.
A presto Fabrizio.
Io pensavo che con questi mezzi tecnologici fosse più facile andare d’accordo tra di noi e unirci nella lotta contro il potere… Invece è peggio. L’altro mese sono stata in Francia e c’erano migliaia di persone che manifestavano per i propri diritti, ed ero in un piccolo paese di periferia. Ti fa sentire più forte appartenere ad un popolo che sa farsi valere. Qui in Italia purtroppo è solo un utopia. Ti ringrazio per il tuo sito e per saper scrivere quello che come me tanti pensano. Buona vita.
Grazie Oriana per essere passata da qui, oltretutto con una testimonianza diretta di cosa possa fare un popolo quando è unito su di un unico fronte, con scelte condivise ed eguali per tutti. Com’è giusto che sia! Purtroppo in Italia accade molto raramente che le persone decidano di scendere in piazza, o di alzare la testa per far valere un proprio diritto collettivo. Accade solo per le partite di calcio.
Quanto racconti avviene su diversi livelli, non solo politico ma anche sociale, religioso, filosofico, culturale. Tutto ricade nel termine “potere”, quel potere che deleghiamo ad altri per paura delle responsabilità ma che nell’intimo desideriamo, in modo da poter poi emettere poi inutili sentenze condite da rabbia, odio, violenza. Se comprendessimo il significato di potere e quale forza ha se messo a disposizione della collettività allora la popolazione diventerebbe popolo. Una comprensione e una scelta che non può essere razionale ma un vissuto, ovvero collegata a una comprensione profonda di come noi stessi agiamo, di come usiamo il nostro piccolo potere attraverso le scelte. Scelte che portano il peso di una responsabilità, anche quando sono dettate dall’imposizione di terzi e ci piace scusarci dicendo: me lo hanno ordinato. La verità è una: le nostre scelte le scriviamo nella nostra anima, dentro di noi, con lettere di fuoco e quelle resteranno in eterno fino a quando non comprenderemo e accetteremo le nostre responsabilità. Il governo è solo l’ombra complessiva di quanto è la popolazione, non è la parte migliore, forse, è la parte peggiore e lo è perché sono troppe le persone che non riflettono realmente su loro stesse, non comprendono che la mente è uno strumento e come tale va usato. La mente ha grandi potenzialità e potere se la si sa usare e se la si sa usare, vuol dire che si è compreso che se è in armonia e collegamento con il cuore si possono comprendere molte più cose, non solo di se stessi ma anche del mondo o più semplicemente della persona vicina. Sebbene la popolazione sia molto lontana da questa comprensione, tuttavia non tutti lo sono e quei pochi potranno fare la differenza perché siamo tutti collegati interiormente e quanto è cambiato dentro in uno si trasmetterà anche agli altri. Ci vuole solo molta, molta, molta pazienza.
Sono d’accordo con te Paolo, non tutto è perduto, c’è ancora una fiammella che arde e seppure appartiene a una sparuta minoranza, è una fiamma che mai e poi mai potrà essere domata del tutto, perché proviene da un “dentro”, un dentro che a sua volta proviene da piani non solo materiali. È un concetto che ribadisco nel mio libro “Liberi dentro, liberi fuori“: la libertà non va cercata all’esterno, ma all’interno, è lì il vero potere, una volta che quel potere è stato riscoperto, nuovamente acquisito, ecco che si espanderà anche all’esterno. Questa è la vera, unica rivoluzione possibile.