“La Ragione aveva Torto?” è un libro scritto dal giornalista e saggista italiano Massimo Fini nel 1985. Un saggio concepito più di trent’anni fa, ma ancora attuale, anzi, attualissimo. È proprio oggi infatti, nel bel mezzo di una crisi che non si sa quando e se finirà, che l’opera prima di Fini rivela la sua lungimiranza. Un libro senza dubbio profetico dal punto di vista sociale, economico e tecnologico. Una sana critica alla modernità ponendo l’attenzione su di una domanda tanto scontata quanto incerta possa essere la rispota: si stava meglio quando si stava peggio?
La risposta non può essere un sì o un no, e allora ecco emergere tutta la bravura di Massimo Fini, con un’analisi spericolata, mirata, puntigliosa e spesso ironica. Nello specifico, vengono messe a confronto la nostra società moderna e tecnologica, con quella dell’Ancien Régime, ovvero la società presente prima della Rivoluzione Industriale e della Rivoluzione Francese.
Fini sottolinea, dati alla mano e riprendendo citazioni dell’epoca, che nell’Ancien Régime non si stava poi così male o comunque, non tanto male come oggi vogliono farci credere. Il punto è che alla fine si muore e si soffre comunque, e che la maggior parte della gente continua a tirare a campare invece che vivere. Cambia la maschera, insomma, ma per Fini la musica resta quella. E se anche la vita dell’uomo nell’Ancien Régime poteva essere dura e ingiusta (chiaramente ai nostri occhi), certamente essa aveva un significato e una dimensione più umana se paragonata a quella dell’uomo moderno. Un uomo sempre più schiavo delle tecnologie e senza potere decisionale.
Tutto quello che Massimo Fini intravedeva durante la stesura del libro, è esploso profeticamente di fronte a noi. E l’attualità di questo testo risuona simbolicamente come un “Io l’avevo detto“. Una critica viscerale alla società dei consumi, post-illuminista e industrialista, che ha perso ogni aspetto della propria umanità in favore di un continuo apparire sovrapposto all’Essere. Attraverso queste pagine si arriva a dimostrare come, drammaticamente, si sia perso il senso di comunità, la reale felicità dell’uomo, in favore di comodità e progresso tecnologico. Un dato su tutti: l’impressionante aumento del numero di suicidi nell’età post-industriale. Siamo davvero una società evoluta e felice, oppure, ci sono le basi per pensare che siamo imbottiti di idee errate e false certezze su quello che rappresenta ancora oggi l’Ancien Régime ai nostri occhi?
“La rivoluzione scientifica, la rivoluzione industriale, l’illuminismo furono uno slancio ottimistico dell’uomo, la rivolta contro la paura degli Dei e della Natura, l’eterna paura che lo aveva sempre attanagliato e limitato, la ribellione alla paralisi, all’immobilismo, all’irrazionalità del mondo antico, ai dogmi, ad Aristotele, alla Chiesa, agli scolastici, ai teologi cristiani e musulmani. L’illuminismo nasce da un impulso orgoglioso e generoso contro un conformismo durato migliaia d’anni. Ma, per un doloroso contrappasso, quel conformismo, quell’immobilismo, quella paralisi, le cui singole manifestazioni erano, o apparivano, irrazionali, nascondevano un nucleo di sapienza inestimabile, la sapienza della specie, che noi abbiamo distrutto e ormai perduto per sempre. Oggi, che sono passati più di due secoli da quando la rivoluzione illuminista si è messa in marcia, dobbiamo constatare, con incredulità e con orrore, che la Ragione aveva Torto.” Massimo Fini – “La Ragione aveva Torto?“
Voto: 8,5
Note: Profetico, Storico, Visionario, Ironico.
3 commenti
Perché l’uomo fallisce? La risposta è di una semplicità mostruosa: non realizza nella propria vita ciò che un altro ha realizzato. Ovvero, le conoscenze di una persona che ha passato parte della sua vita a scoprire e a vivere le sue scoperte, finiscono e rimangono teorie o come si usa dire, rimangono lettera morta. Alcuni ci provano a metterle in pratica, ma diventano tecnica e quel che è peggio cercano di copiare, come se il copiare nella medesima maniera fosse la garanzia di successo. Eppure è sotto i nostri occhi: la vita non si ripete. Ecco perché questa società, come tante altre, è destinata al fallimento. Cosa vuol dire vivere la propria ricerca e scoperta? Significa ripensarla con la propria mente, significa aver rielaborato dentro quanto si è appreso, significa scoprire nel quotidiano i collegamenti, significa poterla esprimere con le proprie parole. Apparentemente potrà sembrare uguale o diversa, non è importante perché ciò che importa davvero è integrare nella propria vita quelle verità. Allora, il nostro corpo, le nostre sensazioni, le nostre emozioni, i nostri pensieri si muoveranno sulla base di questa interiorità e non più e solo superficialmente nella mente.
Sono pienamente d’accordo Paolo, l’originalità deve esserci, sempre, ciascuno deve metterci del suo perché ciascuno è fatto a modo suo e i suoi tempi, come le esigenze, sono differenti. Ad esempio ora viviamo in una società iper accelerata, non ha senso fare meditazione se poi, finita la meditazione, devi correre a casa, in mezzo al traffico, perché sei in ritardo. E una volta a casa ti lasci bombardare la mente da notifiche su notifiche. La centratura richiede un equilibrio, in primis fra il dire e il fare, e poi fra il fare e l’essere.
A presto!
Esattamente. Quello che le persone non capiscono è l’importanza di questa diversità: ogni vita diversa arricchisce la realtà di cose nuove e questo è meraviglioso, è creativo. Al contrario omologazione, adeguamento, appiattimento portano solo la morte della società. Fin troppo semplice da capire. Forse, troppo semplice.