La Paura Del Silenzio Nella Civiltà Occidentale

Tragicomico
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la-paura-del-silenzioC’è questa paura assurda che aleggia nella nostra società moderna, la paura del silenzio, che permea la vita quotidiana di ogni individuo. Un silenzio che fa paura, assordante, perché ti obbliga all’introspezione, a renderti conto che hai tutto tranne l’unica cosa che vorresti: l’armonia. Motivo per cui questo dannato silenzio viene screditato da questa nostra società, quasi demonizzato. Paradossalmente infatti, una persona che parla poco, che vive nel suo silenzio, viene prematuramente considerata come incapace di relazionarsi e priva di ambizioni, addirittura additata come perdente e priva di spina dorsale. Non è tragicomico?

Persone silenti ritenute malate e depresse, o addirittura pazze, perché il loro silenzio è un “disturbo” psichico da una mente che non sa ragionare, oppure si cerca di convincere l’opinione pubblica che le persone che stanno in silenzio in realtà lo fanno per dimostrare la loro ostilità verso il mondo intero. Come se il silenzio fosse una condizione innaturale!! Quindi mi chiedo: quanta ignoranza viene riversata sul silenzio? Da dove nasce la paura del silenzio che vige nella nostra civiltà, tanto da essere considerato un elemento da evitare o addirittura da esorcizzare?!

La verità è che viviamo in un mondo fatto di rumori e abbiamo perso la cognizione del silenzio, che non è più un pregio, ma è diventato un difetto, qualcosa che non vogliamo, lo ripudiamo. Penso a chi abita in città, che è talmente abituato al continuo frastuono del traffico, che quando gli capita di passare una notte in campagna o in riva al mare, non riesce ad addormentarsi perché… c’è troppo silenzio! Oppure penso a tutti questi giovanotti di oggi, che per non sentirsi soli e non abbastanza vivi, vivono di continuo attaccati ai loro ipod e smartphone, con delle mega cuffie nelle orecchie che bombardano decibel di musica (mediocre peraltro!) a tutto volume. Oppure penso alla casalinga di Voghera, che si perde in superficiali ed estenuanti chiacchiere al telefono con parenti fino alla settima generazione!

Non riusciamo a stare zitti, abbiamo bisogno di riempire qualsiasi silenzio con il rumore della nostra voce, come se non bastassero i frastuoni che riempiono la nostra quotidianità. E se nessuno parla? Non c’è problema, per questo esiste la tv, che parla al posto nostro, anche se magari (anzi sicuramente!) non siamo nemmeno interessati a quello che dice. L’importante è che squarci il silenzio.

Ma non fatevi ingannare miei cari lettori, perché la paura del silenzio, ossia l’assenza di rumori come l’ho inteso finora, è soltanto uno specchietto per le allodole dal vero silenzio che ci spaventa: il silenzio della mente. Quando tace quel continuo dialogo interno, quella voce dentro la nostra testa che sta sempre lì a chiacchierare, commentare, giudicare, condannare, ricordare, pianificare e descrivere ciò che ci accade. Per quanto spesso e volentieri quella voce ci sembri inopportuna o fastidiosa, questa voce ci tiene compagnia e siamo talmente abituati ad essa che senza ci sentiremmo tremendamente soli.

“Il vero nemico sono i nostri vuoti, i nostri silenzi. La nostra mente e quel che può fare quando resta da sola. È il divertissement che richiama l’ira di Pascal, il “divertimento” visto non nella sua forma giocosa e dunque positiva, ma nella sua accezione latina di spostamento dell’attenzione e allontanamento. Incapace di fronteggiare la propria miseria, l’uomo decide di proteggersi chiudendosi in una gabbia illusoria di distrazioni che non lascia spazio alla riflessione critica. La grande distrazione, la grande fuga da se stessi.
Siamo incapaci di stare senza fare niente. Senza lo smartphone stretto fra le dita, le nostre mani si sentono spoglie e imbarazzate. Per nascondere il nervosismo e ingannare il tempo, una volta ci si mordicchiava le unghie, oggi si scrolla la bacheca di Facebook e si mandano estenuanti messaggi vocali in cui si dice tutto, tranne l’essenziale.”
(Dal mio libroSchiavi del Tempo“)

Abbiamo il costante bisogno di nutrire le nostre “voci”: ascoltando musica, guardando la tv o ingaggiando superflue conversazioni che in realtà non ci interessano affatto e ripetendo così concetti che abbiamo già ripetuto altre centinaia di volte. Anche questioni di poco conto sono utili per tappare il pericoloso vuoto del silenzio: la banalità del gossip, il pronostico sportivo, l’amante del nostro collega, la frase del politico e dulcis in fundo lo scambio di battute metereologiche su “che tempo che fa”! Per l’essere umano della postmodernità, questa è la normalità.

bla-bla-bla-parlareNella nostra civiltà le parole straripano con tanta invadenza da perdere il proprio scopo primario, che è quello di comunicare. Se le parole sono troppe infatti, se non provengono dal silenzio, allora perdono la loro efficacia comunicativa. Per avere un certo peso le parole devono provenire dal silenzio, non a caso chi dice soltanto il necessario è in genere molto più ascoltato di chi parla troppo.
Se osservassimo in maniera imparziale il modo in cui usiamo il linguaggio nella vita quotidiana, ci accorgeremmo ben presto di quante parole inutili escano dalla nostra bocca senza che neanche ce ne accorgiamo: dai pettegolezzi agli insulti gratuiti, dalle chiacchiere per ammazzare il tempo ai discorsi fatti solo per scaricare qualche tensione emotiva. In realtà si tratta soltanto di un enorme spreco di energia, perché il parlare è essenzialmente un’azione, e le azioni sono forme di energia.

Ecco perché il vero silenzio interiore può contribuire a farci percepire meglio la ricchezza e la povertà di ogni parola. Il silenzio non è quindi una malattia o una forma di automortificazione ascetica, ma è un modo per sperimentare una percezione diretta e profonda della realtà.
È nel silenzio che noi possiamo riuscire a trascendere ogni forma di linguaggio stereotipato, perché attraverso di esso entriamo nella dimensione del meta-linguaggio, il quale ci aiuta a padroneggiare meglio la situazione per non scadere nei luoghi comuni e lasciarci condizionare dalla mentalità corrente. Il vero silenzio interiore, pertanto, è un affronto verso la nostra mente, la quale è avida di contenuti e teme il vuoto.

Quella voce che subdolamente udiamo nella nostra testa e che si è presa la spazio del nostro vero pensiero, teme di scomparire. Di non essere più nutrita. Da qui nasce in maniera inconscia la paura del silenzio che si è perpetuata all’interno della nostra civiltà. Rinunciare al silenzio significa rinunciare a se stessi, quindi chi ha paura del silenzio sostanzialmente ha paura di essere se stesso. La prossima volta che incontrate una persona che “parla troppo”, pensate a quanto vi sto dicendo.

L’umanità oggi è in pericolo, specie nel mondo occidentale, proprio perché non sa cosa possa significare fare del silenzio interiore, il quale è, a mio parere, il vero motore del progresso civile ed etico, il cuore pulsante delle nostre energie e delle nostre capacità, perché solo nel silenzio interiore possiamo produrre qualcosa che sia veramente nostro e veramente libero, degno di essere chiamato il nostro pensiero.

“Siamo pervasi di parole inutili, di una quantità folle di parole e di immagini.
La stupidità non è mai muta né cieca. Il problema non è più quello di fare in modo che la gente si esprima, ma di procurare loro degli interstizi di solitudine e di silenzio a partire dai quali avranno finalmente qualcosa da dire. Le forze della repressione non impediscono alla gente di esprimersi, al contrario la costringono ad esprimersi. Dolcezza di non aver nulla da dire, diritto di non aver nulla da dire: è questa la condizione perché si formi qualcosa di raro o di rarefatto che meriti, per poco che sia, d’esser detto.” (Gilles Deleuze, “Pourparler”)

Tragicomico

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