Spesso accade che sentendo la parola “Egitto” la si accomuna alle figure delle Piramidi, della Sfinge, ai Faraoni , come se tutto appartenesse ad una civiltà, quella degli antichi Egizi appunto, con la quale ormai noi non abbiamo più nulla a che fare, se non per ammirare tutto ciò che di questa splendida civiltà resta ancora in piedi. La realtà dei fatti invece è ben diversa, in quanto l’influenza egizia sulla cultura globale, sul cristianesimo e nella massoneria, è ancora del tutto viva e ben visibile.
Non è raro quindi imbattersi in Occidente in simbolismi che apparentemente non hanno nulla a che vedere con la nostra civiltà, come ad esempio alla presenza di obelischi, senza che nessuno ne capisca il significato e si lasci scappare un banale: “Che cosa ci fanno qui?”. La nostra civiltà occidentale si crede così evoluta che non riconosce agli Egizi di essere i primi portatori della conoscenza sacra, o se preferite, di saggezza esoterica che influenza ancora oggi il nostro modo di pensare. Molti dei simboli e dei geroglifici egizi, offrono risposte più ricche e complesse del significato e della traduzione che gli scienziati comunemente sono soliti attribuire a questi simboli sacri.
Il simbolismo è una forma di comunicazione efficace ed istintiva, che rievoca qualcosa di aggiuntivo, non esprimibile a parole e nemmeno la psicologia moderna sembra capace di sintetizzare la profonda integrazione di corpo, mente e spirito su cui si fonda la simblogia. Per spiegare il concetto esoterico dei simboli ed il perché della loro utilizzazione, riporto un commento di due scrittori e studiosi di esoterismo francesi, Pauwels e Bergier, nel loro libro “Il mattino dei maghi”:
“Essi.. scolpivano nella pietra il loro messaggio esoterico. Segni, del tutto incomprensibili per quegli uomini la cui consapevolezza non era ancora andata incontro a mutamenti… Questi iniziati non si volgevano alle cose segrete per amore della segretezza, ma soltanto perché le loro scoperte delle leggi dell’energia, della materia e della mente umana avvenivano su un diverso piano di coscienza e per questo motivo non potevano essere comunicate e trasmesse”.
È proprio nel pensiero e nella saggezza egizia che hanno affondato le proprie radici le religioni degli ebrei, dei cristiani e dei musulmani. E senza ombra di dubbio è il simbolismo del popolo della terra del Nilo che ha trasmesso il proprio carattere etnico e spirituale alla civiltà giudaica, che va riconosciuta come la più diretta antenata di quella cristiana e di quella islamica.
In un articolo sintetico come questo, sono pressoché costretto a ricordare (anche per facilità di comprensione) quel che ci resta del simbolismo egizio, ovvero ciò che apparteneva alla loro quotidianità e che gli occidentali di oggi ancora adoperano. I simboli egizi in realtà sono così tanti da perderne il conto, ma come ho detto poc’anzi, ve ne sono alcuni che hanno superato il confine del tempo e sono giunti sino a noi, nonostante abbiano subìto trasformazioni e adattamenti da parte di altri credi religiosi.
All’inizio dell’articolo vi ho accennato dei famigerati obelischi, che nella civiltà egizia venivano eretti in coppie per costeggiare le immense vie che conducevano ai luoghi di culto più importanti. Questi obelischi erano tutti riccamente decorati e in cima vi si trovava la pietra a forma di piramide denominata “benben”, che secondo alcuni studiosi avrebbe origini extraterrestri, ovvero si tratterebbe di materiale proveniente dallo spazio, molto probabilmente un meteorite. In alcuni geroglifici dell’antico Egitto si parla di un “ferro celeste” e altre testimonianze riferiscono di meteoriti rinvenuti in tombe egizie e precolombiane.
Questa pietra benben posta in sommità agli obelischi (e da cui molto probabilmente hanno poi preso forma le famose piramidi egizie) rappresenta il punto di quiete dell’uccello sacro degli egizi, ovvero la Fenice, il leggendario essere che dopo essere morto nel fuoco rinasceva dalle sue stesse ceneri a simboleggiare la rinascita spirituale. Questo simbolismo è stato poi perpetuato nel giudaismo biblico e attraverso la diffusione della Fratellanza massonica è giunto ai nostri giorni. Gli obelischi inoltre si sono trasformati nell’era successiva agli egizi, in coppie di colonne, la cui funzione diventa puramente simbolica.
Secondo alcuni, il simbolo più importante della simbologia quotidiana dell’antico Egitto è la croce della vita, chiamata l’ankh, conosciuta anche con il nome di croce ansata. Si tratta di una croce a bracci della stessa lunghezza sormontata in cima da un ovale, e basta osservare gli splendidi geroglifici per vedere come numerose divinità venivano rappresentate con la croce della vita, sia in mano sia al petto, trasmettendo così la natura ultraterrena e l’eterna esistenza e conferendo alla croce stessa un valore divino, religioso e sacro al di là dell’umano.
Il simbolismo di questa croce è legato a quello della vita, che unito alle divinità indica la presenza di forze naturali, mistiche, cosmiche e generatrici dell’universo, simbolo quindi dell’esistenza stessa della reincarnazione dell’incontro tra il mondo spirituale e quello terreno. Successivamente i Copti adottarono l’ankh chiamandolo croce ansata e facendone un simbolo cristiano, e fu così che l’ankh, chiave della vita, del desiderio e della felicità, fu usato per imporre il dolore cristiano, la sottomissione cristiana e simbolo della miseria fisica e morale propria del cristianesimo.
Passiamo ora al simbolo udjat, l’Occhio del dio Horus dalla testa di Falco, figlio del dio Osiride e della dea Iside. E’ la raffigurazione dell’occhio perso/ferito del dio Horus in battaglia contro il malvagio Seth, guarito poi dal fratello Thot, dio della magia dalla testa di ibis. L’Occhio di Horus simboleggia funzioni di guarigione, di rigenerazione, di energizzazione, come se attraverso esso si potesse avere coscienza della reale natura dell’Universo e quindi di avere accesso all’energia oscura che ci circonda, non a caso viene definito come anche “l’occhio che tutto vede”.
Sebbene trasformato, l’Occhio di Horus è giunto fino a noi in una simbologia come quella raffigurata dall’occhio all’interno di un triangolo (piramide di potere) presente anche sulle banconote da un dollaro e in vari simboli di carattere massonico. Nell’iconografia europea medievale e rinascimentale invece, sempre l’occhio all’interno di un triangolo, era la raffigurazione dell’immagine della Trinità cristiana, chiamato anche occhio della Provvidenza.
Sempre in Egitto, il culto della maternità e della sapienza era trasmesso tramite un vasto numero di simboli, ma quello più eclatante se confrontato con la simbologia cristiana, è certamente il simbolo legato alla dea Iside e del divino figlioletto Horus nella classica immagine dove la dea seduta offre il proprio seno al piccoletto. Una rivisitazione figurativa identica avviene nel Cristianesimo, dove ritroviamo la stessa scena, con la dea Iside sostituita dalla vergine Maria e il figlioletto Gesù prende il posto del piccolo Horus.
Un parallelismo, questo, che rende bene l’idea di come il simbolismo egizio abbia influenzato se non addirittura dato vita a quello cristiano. Sono milioni i fedeli appartenenti alle grandi religioni quali cristianesimo e islamismo che credono fermamente che la Bibbia sia un’opera ispirata ed anche un’accurata trascrizione di fatti storici che sono alla base della loro fede; dimenticando completamente l’importanza della matrice egizia. La continuità fra il simbolismo egizio e quello dei primi tempi di Israele è indubbio, l’ho appena dimostrato in precedenza attraverso similitudini che non possono essere coincidenze ma che sottolineano come in realtà ci sia un filo conduttore, un legame, tra la civiltà egizia e quella cristiana fino ad arrivare ai nostri giorni. Fin’ora ho spaziato, in maniera molto sintetica, sui simbolismi visivi ma altrettanto è possibile fare per quanto riguarda i simbolismi letterari , e anche qui le ‘coincidenze’ non sono poche.
Partiamo da Abramo, il primo patriarca dell’ebraismo, del cristianesimo e dell’islam: si può dire che era veramente nativo della città di Ur di Caldei? Assolutamente no, non esistendo testimonianze indipendenti dal Genesi dell’esistenza di Abramo, si può anche immaginare che sia un personaggio mitologico mai esistito realmente. Ma affidiamoci a ciò che è riportato nel passo 20:12 nel libro della Genesi riguardo ad Abramo e sua moglie Sara: “Inoltre essa è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non figlia di mia madre, ed è divenuta mia moglie.” Ovviamente questa situazione incestuosa non viene commentata più di tanto, viene anzi fatta passare come una situazione di ‘scampato pericolo per Abramo’.
In realtà riveste un’importanza fondamentale, in quanto vi è già una netta similitudine con gli dei Iside e Osiride degli egizi, dove i due sposi protagonisti sono fratelli o, meglio, anch’essi fratellastri, essendo nati dalla stessa madre, Rea, ma da padri diversi, Osiride dal Sole, Iside da Hermes. Nulla di scandaloso, visto che il matrimoni fra consanguinei era tipico delle famiglie reali egiziane. E quindi è naturale che sorga una logica questione: che Abramo appartenesse alla famiglia reale del faraone? In questo caso cadrebbe in contraddizione anche il luogo comune che vuole la figura di Abramo come un pastore nomade.
Sono molti gli studiosi famosi che si sono ‘scomodati’ per offrire un’altra lettura della figura di Abramo, fra cui su tutti Sigmund Freud nel libro “Mosè e il monoteismo” e Ernst Stellin. Nei loro scritti viene sottolineata l’influenza egiziana sulla religione giudaica. Ed è bene ricordare che fu proprio Abramo a stabilire per se stesso, per i suoi seguaci e tutta la futura discendenza, la pratica egiziana della circoncisione, molto comune presso la famiglia reale faraonica e aristocrazia d’Egitto, sin dal 4000 a.c.
Passiamo ora a Mosè, altra figura fondamentale per quel che riguarda il cristianesimo, la storia vuole che il neonato Mosè fu salvato dalle acque del Nilo mentre era dentro ad un cesto, in balia della corrente. Ma grazie all’intervento tempestivo da parte della figlia del faraone (che coincidenza!) fu salvato e adottato, e da lì inizieranno una serie di avventure che sfoceranno nel grande esodo di massa che porterà il popolo d’Israele fuori dall’Egitto.
La verità invece potrebbe essere un’altra ed è stata affrontata da due studiosi biblici moderni, Messod e Roger Sabbah, nel libro “I segreti dell’Esodo”. Questi due autori promuovono una tesi del tutto diversa ma che in fondo, per quanto già detto sopra, non suonerebbe poi così strana. Loro affermano in modo categorico che non esiste alcuna prova o testimonianza che all’epoca di Mosè già esistesse una nazione o una tribù ebraica così come ci viene presentata nelle sacre scritture.
In un passo del libro troviamo scritto: “Come può essere scomparso da tutte le cronache storiche egiziane il nome di un popolo così fortemente intriso di cultura e della tradizione della terra del Nilo? Più di 200 anni di ricerche nei siti archeologici del deserto, delle necropoli, delle città e dei templi non hanno fatto emergere un solo riferimento!”. A questo punto, o ci si chiude gli occhi e si crede a tutto ciò che dicono le sacre scritture oppure bisogna ricomporre un puzzle in cui sembrano mancare dei pezzi. Perché del soggiorno più o meno coatto degli Ebrei in terra d’Egitto, non se ne trova traccia e senza un popolo viene difficile pensare al famoso Esodo tanto rinomato nelle sacre scritture.
Alcuni pezzi mancanti del puzzle possiamo trovarli nel libro sempre di Freud, già citato in precedenza, nel quale egli dimostra come la storia della nascita di Mosè sia una mescolanza di una precedente leggenda sumerica relativa al re Sargon e alla storia legata alla nascita del dio egizio Horus. Paradossalmente (ancora che coincidenza) entrambi sono stati salvati dalle acque dopo che erano stati riposti all’interno di una cesta in vimini. Freud afferma chiaramente che le umili origini di Mosè siano in realtà un falso, un’opera ad hoc per sviare l’attenzione dal fatto che il primo grande leader israelita fosse in realtà un egiziano o addirittura un membro appartenente alla casta faraonica.
Ma c’è un altro studioso egiziano ed autore di rilievo, che ricostruisce la storia di Mosè in maniera ancora più interessante e convincente. Si chiama Ahmed Osman e nel suo libro “Moses Pharaoh of Egypt” identifica la figura di Mosè con quella del faraone Akhenaton, quel particolare personaggio che aveva inutilmente provato a riportare una religione monoteista all’interno dell’Egitto, con il solo culto del dio Aten. Ma il suo fu un grosso insuccesso, con gravi conseguenze sociali ed economiche per il paese, che andò incontro al grande caos che portò alla ribellione e alla guerra civile. La guerra interna si concluse con la deposizione di Akhenaton e il suo esilio insieme a qualche suo seguace è probabilmente ciò che le scritture riportano come esodo.
Passiamo infine alle leggi mosaiche, che trovano fondamento nelle tavole dei Dieci Comandamenti. Per quanto riportate dal testo biblico, Mosè li ricevette sul Monte Sinai per mano di Dio. La cosa strana e che fa storcere il naso a molti studiosi, riguarda la netta somiglianza tra i Dieci Comandamenti e il “Libro Dei Morti” egizio che comprende la dichiarazione d’innocenza che l’anima del defunto faceva una volta giunta nell’aldilà presso la corte del supremo Osiride. Ecco ad esempio alcune di queste dichiarazioni:
“Non ho detto il falso
Non ho rubato
Non ho ucciso uomini”
Vediamo ora quanto è riportato nelle sacre scritture (Esodo) :
“Non pronunciare falsa testimonianza contro il tuo prossimo
Non rubare
Non uccidere”
Questo sintetico confronto evidenzia ancora una volta le tante analogie tra i culti degli Antichi Egizi e quelli dei Cristiani, tutt’oggi ancora in vigore. Quindi possiamo tranquillamente assumerci la responsabilità di dire che la religione ebraica altro non sia che un’emanazione evolutiva del culto del dio Aten.
Tutto questo per dimostrare che ebrei, cristiani e musulmani credono in una religione che ha un’unica matrice, quella egizia; cambiano i rituali, ma se si esamina attentamente il cristianesimo, il paganesimo e l’islam, si scopre che queste religioni hanno più punti in comune che di quelli in disaccordo, causa quest’ultimi di conflitti continui che hanno portato e portano ancora morte e distruzione. Queste tre religioni evocano lo stesso messaggio di pace, fratellanza e armonia; valori che però a quanto pare non è facile ritrovare nei rapporti che questi tre movimenti religiosi hanno avuto fa loro, da duemila anni a questa parte.