Ognuno di noi affronta sfide a breve e lungo termine nella propria vita, ma in pochi, quasi nessuno, si sono posti l’obiettivo di liberarsi dalla schiavitù industriale, da quel sistema produttivo che sfrutta le risorse del terzo mondo e dei paesi meno sviluppati per distribuire beni e servizi, sempre in quantità maggiori, a chi ormai è saturo e appagato da questo Sistema che non gli fa mancare nulla! Ma il prezzo da pagare, non solo in termini di sostenibilità ambientale, è davvero alto!
Rifletteteci un attimo. Ognuno di noi vorrebbe un mondo migliore, pulito, sostenibile, per se stesso, per i figli e per le prossime generazioni. Ma guardiamoci attorno, e osserviamo con i nostri stessi occhi cosa abbiamo “causato” noi, nelle vesti di consumatori, su questo pianeta! Provate ad immaginare…
Immaginate se a ciascuno di noi fosse data una valigia in cui mettere dieci cose a scelta da portare con sé in un mondo “ideologicamente” migliore, pulito, che possa soddisfare la richieste di tutti i popoli. Ecco, ora mentre immaginate, provate a pensare se qualcuno di voi sceglierebbe di portare con se nella valigia una macchia di petrolio, una scoria nucleare, un ceppo annerito di una foresta pluviale bruciata, un pezzo di balena morta, una busta di rifiuti tossici e via dicendo.
Nessuno si sognerebbe di portare con sé qualcosa di simile, però mentre leggete queste righe, nel mondo continuano le trivellazioni e le estrazioni di materie prime con le relative conseguenze, perché gli interessi investiti in combusti fossili e in altre risorse limitate ci privano del diritto di scegliere: quella è la strada segnata dalle multinazionali e se vogliamo vivere e “godere” dei benefit di questo Sistema, allora dobbiamo seguirla. Non farlo significherebbe finalmente liberarsi dalla schiavitù industriale che ci attanaglia da 250 anni, ed è arrivato il momento di porci non solo delle domande, ma di azionare anche dellle risposte su ciò che realmente vogliamo.
“In nome del progresso, l’uomo sta trasformando il mondo in un luogo fetido
e velenoso (e questa è “tutt’altro che” un’immagine simbolica).
Sta inquinando l’aria, l’acqua, il suolo, gli animali… e sé stesso,
al punto che è legittimo domandarsi se, fra un centinaio d’anni,
sarà ancora possibile vivere sulla terra.”
(Erich Fromm – “Anatomia della distruttività umana“)
Se i problemi ambientali causati dalla schiavitù industriale sono “validi” come investimento, allora abbiamo qualche speranza. Prendiamo il fenomeno dell’immigrazione clandestina ad esempio, un fenomeno eclatante che dimostra come su questo pianeta non è più il “nostro” turno, ma è arrivato il momento di pensare a chi ha meno, a chi per anni è stato sfruttato, saccheggiato delle proprie risorse e relegato in quello che brutalmente viene definito il Terzo mondo.
Ecco dunque la sfida, nei prossimi anni dobbiamo obbligatoriamente ripulire le nostre abitudini e persuadere le grandi multinazionali a liberarci dalla schiavitù industriale. Dobbiamo persuadere i colossi affamati, combatterli e dimostrare che vale la pena amare la vita più dei profitti. Dobbiamo ristrutturare le nostre idee economiche sul modo di usare i frutti preziosi di questo pianeta tiranneggiato, e allo stesso tempo dobbiamo ripensare le nostre priorità, affinché questo pianeta possa essere vivibile e sostenibile anche per le prossime generazioni.
Una volta attraversato il confine di questa sfida, possiamo impegnarci a costruire un mondo a cui importi realmente come viene usato lo spirito dell’uomo. Liberi dalla tirannia dell’assurda invenzione del mercato, della schiavitù industriale, liberi dalla spirale della crescita senza fine, possiamo prestare attenzione allo stato mentale di tutti ed attuare lì una crescita. Possiamo fare dell’autoconoscenza, del “conoscere se stessi” di Socrate, la parte più importante di ogni programma scolastico, perché è lì che inizia la ragione e, se non ce ne rendiamo conto, tutta la nostra attuale conoscenza altro non è che merce fallimentare!
“Che il mondo in cui viviamo sia alla deriva è sotto gli occhi di tutti, persino i più irriducibili hanno cominciato timidamente ad ammettere che la strada intrapresa non è più sostenibile, che i ritmi di crescita a cui ci siamo abituati stanno spremendo il Pianeta, lo stanno portando al collasso. Occorre ripensare la filosofia del consumo dalle basi, operando una profonda trasformazione che non ripudi ma rimoduli, che non cancelli ma migliori. Si tratta di costruire quel nuovo Rinascimento economico e spirituale di cui il movimento della decrescita consapevole si è fatto portavoce e che prevede un ripensamento globale del nostro modo di approcciarci alle risorse e al Pianeta.”
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo“)