Produrre e Consumare sono due aspetti fondamentali della religione del nostro tempo, una religione in cui vige l’adorazione verso la produzione e del consumo fine a se stesso. Una religione che ha avuto un’escalation assoluta e che ora regna sovrana nella vita di cittadini consapevoli o meno di appartenere ad un culto senza eguali. Se un tempo la produzione aveva l’obiettivo di soddisfare le necessità degli esseri umani, e di conseguenza si consumava per necessità, con l’avvento della rivoluzione industriale le cose son cambiate. Non si produceva più per necessità, ma per ricavarne un guadagno, quindi la motivazione determinante era il profitto. Ma oggi non si produce nemmeno più per il semplice profitto, o almeno, non solo per quello.
Oggi produciamo (e distruggiamo) per amore e devozione verso la produzione che in quanto tale è stata divinizzata. In altre parole, l’uomo moderno è affascinato dell’atto del produrre e consumare quanto l’uomo del passato era affascinato dai simboli religiosi.
Ciò che è raccapricciante è che nessuno, o quasi, è consapevole dell’atteggiamento religioso in atto. Il fascino della produzione e del consumo ci appare del tutto naturale, proprio perché non è formulato, e quindi evidenziato, in termini religiosi. Consideriamo come religione il cristianesimo o l’ebraismo, la croce o i riti liturgici, ma non il produrre e il consumare. E siccome non ci accorgiamo che la produzione e il consumo sono una vera religione, non la consideriamo come tale. Eppure siamo perennemente affascinati, dominati, impotenti verso questi due aspetti. Cosa cerca l’uomo moderno? Cosa desidera? Non desidera forse la produzione illimitata e il consumo sfrenato? Non è forse questa la sua devozione? Far sì che gli oggetti siano sempre migliori, luccicanti, funzionali, fruibili per chiunque, e soprattutto, che ve ne siano sempre di più?!
“Annebbiati dalla pubblicità e dalla competizione, sbavano di fronte a oggetti
che non sapevano di volere e di cui non sanno che farsene,
ma per i quali sono disposti a indebitarsi e a fare decine di ore di straordinari.“
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo“)
La gente è così affascinata dalla possibilità di comprare sempre più oggetti che non sta lì a domandarsi se essi siano effettivamente utili. È una produzione e un consumo fine a se stesso. Del resto è uno dei fattori psicologici principali cu cui si fonda la nostra economia. Fattori incentivati e stimolati dalla propaganda. Possiamo affermare che l’uomo moderno prova addirittura poco piacere nel comprare le cose che compra. Quello che conta è la rapidità con cui si ottiene qualcosa di nuovo. È questa la fantasia di “condizione paradisiaca” di oggi, che si traduce nella produzione di oggetti ad un ritmo sempre più vertiginoso con l’obiettivo di permettere al consumatore di comprare tutto quello che vuole. Non deve più aspettare. C’è già tutto.
Questo è un comportamento prettamente religioso. Si tratta di un anelito religioso verso l’infinità di oggetti di cui possiamo entrare in possesso. Un’adorazione vera e propria che proviamo dinanzi all’abbondanza degli oggetti che possiamo comprare. Nella religione tradizionale: prego, invoco, recito mantra e forse ottengo qualcosa in cambio. Nella religione del produrre e consumare: pago, firmo cambiali, stipulo finanziamenti ed in cambio ottengo sicuramente qualcosa. È tutto immediato.
L’ebbrezza di questa religione ha conquistato tutti, nessuno vuole fare peccato e tirarsi fuori dal produrre e consumare. Provate ad immaginare un futuro in cui la gente lavora solo tre ore al giorno, guadagnando addirittura il triplo di quello che guadagna oggi. Un futuro dove la moneta diventa indipendente, come i bitcoin. Detto così, sarebbe allettante, ma ciò non avviene e non potrà avvenire. Per un motivo molto semplice. Sarebbe una catastrofe! Sistemata la questione economica, l’uomo moderno cadrebbe in una forte nevrosi: “E ora cosa faccio della mia vita?!”, “Cosa me ne faccio di tutto questo tempo libero?” si chiederebbe. Un uomo abituato a “servire” il produrre e consumare è un uomo che non è abituato ad essere libero. E non saprebbe come dare un senso alla propria esistenza al di fuori del produrre e consumare.
E pensare che per secoli grandi pensatori e utopisti hanno immaginato e descritto con parole toccanti il sommo ideale: un vita in cui poco tempo viene impiegato per ottenere quello che serve per sopravvivere, e tutto il resto del tempo viene adoperato per vivere e per dare un senso alla propria esistenza. Ma noi non siamo assolutamente pronti e preparati per uno scenario simile, ad impiegare in modo sensato la nostra vita e il nostro tempo. Non abbiamo più un rapporto diretto con i nostri sentimenti, con quello che proviamo interiormente e con i nostri simili. Quello che ci interessa sono soltanto gli oggetti che possiamo manipolare. Ormai siamo troppo devoti verso una religione materialista: quella del produrre e consumare.
“Oggi viviamo nell’abbondanza, ma viviamo senza gioia e serenità,
e siamo schiavi dell’abbondanza che noi stessi abbiamo creato.”
(Erich Fromm – “I cosiddetti sani“)