“Pensare” possiede una sua origine etimologica molto importante e ci rivela un aspetto ancora più profondo del concetto al quale si è soliti fare riferimento. Il verbo pensare, infatti, deriva dal latino pensāre, intensivo di pendĕre, ovvero “pesare”. Pensare, quindi, ha a che fare con pesare, ponderare, valutare e significa confrontare, mettere la realtà sul piatto della bilancia e misurarla, soppesarla, confrontarla con quanto sei riuscito ad elaborare nel corso della tua vita.
Questa è una premessa molto importante, perché ti consente di immaginare la mente proprio come fosse una bilancia con due piatti. Su un piatto ci metti quello che la vita ti propone nel suo continuo manifestarsi e sull’altro piatto, come contrappeso, ci metti quella che è la tua visione del mondo, la tua filosofia di vita, il tuo sentire interiore, il tuo essere. Solo in questo mondo potrai iniziare a pesare e soppesare, per dire “questo va bene” oppure “questo non va bene” per la mia vita. In altre parole, nel pensare e nel pesare dimostri di avere un tuo centro e di non essere in balia degli eventi.
«Pensare. Pensare significa pesare ciò che ci succede, sospendere il proprio giudizio, controllarsi e non compiacersi.
Pensare significa passare da un’idea a tutto ciò che le si oppone, in modo da accordare tutti i pensieri con quello attuale. Perciò, è un rifiuto del pensiero spontaneo e, in fondo, un rifiuto della natura che, in effetti, non è il giudice dei pensieri. Pensare quindi significa giudicare che non tutto per noi va bene così come ci si presenta;
è un lavoro lungo e una pace preliminare.»
(Emile-Auguste Chartier – “Les Arts et les dieux”)
Perché vedete cari lettori, oggigiorno sono in molti a non avere un pensiero, a essere incapaci di pesare la propria vita, per dare un peso alle cose. Persone che, non avendo un pensiero proprio non hanno quel contrappeso da piazzare sulla bilancia, motivo per cui le situazioni della vita prendono il sopravvento e succede che ti ritrovi un giorno a pensare in un modo e il giorno dopo a pensarla diversamente. Manca, quindi, quel centro di gravità permanente citato da Battiato, quando dice: “Cerco un centro di gravità permanente che non mi faccia mai cambiare idea sulle cose sulla gente”.
Quando cambi continuamente idea sulle cose e sulla gente, allora significa che la tua mente funziona come una bilancia con un piatto solo, è in balia dei pensieri e delle opinioni altrui, non ha un centro, non ha un equilibro e pende continuamente dalla parte degli “altri”. Inizi così a pensare tramite le logiche di mercato, operi all’interno di meccanismi con delle scelte già programmate, impari ad adeguarti alla cultura massificante, a calare la testa in nome di uno pseudo “bene comune”, accetti tutto senza critica, senza pesare, del resto l’ha detto la televisione, o quel sito lì, e ci sono dati statistici, studi scientifici, non può che essere quella la verità.
Ed eccoci qui, nella nostra bella società tecnologica, altamente performante, ma che soffre della più subdola delle malattie: il pensiero acritico. Una società nella quale regna un linguaggio povero e mal strutturato, drogata di nozionismo, indifferente all’analisi e all’approfondimento, instupidita da un sovraccarico informativo; è una società che non sa pesare, non sa pensare, dotata di una comunicazione sterile e involuta, colma di analfabeti funzionali come conseguenza della parcellizzazione dell’attenzione creata dal crescente, anzi costante uso di smartphone e device vari.
«Dopotutto, è atrofizzando i muscoli del cervello che si distoglie l’attenzione
e ci si assicura l’eterna sottomissione.»
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo”)
L’unico antidoto all’omologazione di massa è quello di pensare con la propria mente, e insegnare a farlo. Un’impresa ardua, in un mondo dove la direzione intrapresa è quella verso gli interessi di pochi. E quei pochi non hanno certo interesse nello smuovere le coscienze. Tutt’altro. Ci è stato messo davanti agli occhi un mondo creato ad hoc, dove tutto quello che conta è sgobbare per poi divertirsi, distrarsi, ubriacarsi, all’insegna della spensieratezza, del non pensare. La locuzione cartesiana “Cogito ergo sum” è stata sostituita da uno slogan caratterizzante della società moderna: “Non cogito ergo sum”. Non penso dunque sono.
Non è una società per esseri pensanti questa, ma è una società che diverte (dal latino “devertere”, cioè deviare, allontanarsi), si tratta del “divertissement” che richiama la critica del filosofo Pascal, una società che ti porta fuori, fuori da te stesso, che diverge rispetto al verso vero dell’esistenza, dove non ci si pone domande e quelle poche che casualmente appaiono nella mente trovano delle risposte già confezionate da altri.
E attenzione, perché non c’è solo il mondo che ci circonda. C’è anche un mondo che è dentro di noi, anch’esso sconosciuto, perché mai pensato, soppesato, ma che è altrettanto reale. Una realtà per molti ancora ambigua, oscura, spesso magmatica, e bisogna affrontarla allo stesso modo, senza fuggire da essa. Perché chi pensa analizza e riflette, medita, vaglia quel che c’è da fare, setaccia il proprio mondo interiore alla ricerca della soluzione migliore, per pesare le strade da intraprendere e scegliere quelle da evitare.
Riflettere è un altro verbo che palesa ancor più facilmente la sua antica origine: non significa altro che… riflettere! Vale a dire ripiegarsi su se stesso. Chi riflette, dunque, ripiega la mente su se stesso, ovvero rivolge l’attenzione sui fatti interni della vita psichica o alla attività e ai contenuti del pensiero.
Pertanto pensare non è solo un’elaborazione di informazioni, come molto credono, ma è molto di più. I greci usavano due termini estremamente affascinati: nous e dianoia. Dove nous si configurava come una sapienza originaria che permetteva la capacità di cogliere e comprendere la realtà in maniera intuitiva. Mentre dianoia rappresentava il senso della ragione intesa nella sua più ristretta accezione, considerata nell’antichità una forma di sapere superiore all’opinione.
Una scala di valori e di diversi modi di pensare. Ecco perché uno sviluppo elevato della capacità di pensiero ti permette di prendere consapevolezza del pensiero degli altri, per pesarlo, soppesarlo, prenderne le distanze o approfondirlo, magari rigettandolo in alcune parti, o del tutto, o superarlo, trasformarlo. Chi ha facoltà di pensiero è una persona capace di maneggiare pensieri, suoi e altrui, e pesarli per quello che sono.
E quando hai raggiunto questa padronanza di pensiero, allora inizi a guardare verso te stesso, a pesarti con la mente, e inizi a mettere ordine dentro di te. Pensare è anche e soprattutto questo. E non è un qualcosa che avviene in maniera spontanea, non lo decide la natura, ma richiede un lavoro costante e questo lavoro è quello che fa di una persona consapevole un giardino curato. Perché chi non si prende cura del proprio giardino, vedrà crescere nella sua mente solo erbacce e spine con le quali si pungerà ogni santo giorno con pensieri dolorosi e opprimenti.
Chi pensa in maniera strutturata, invece, possiede un linguaggio ordinato, possiede la dote dell’equilibrio, perché è vero che in noi nasce il desiderio che ci permette di avere uno slancio verso qualcosa, ma se quello slancio non è ben equilibrato e pesato, allora sarà come una carrozza trainata da cavalli che non vogliono andare tutti nella stessa direzione. Quindi cosa serve? Serve che il desiderio sia disciplinato, e l’unica via per disciplinarlo è il pensiero. Questo è il grande dono che il pensare, il pensiero nella sua forma ortodossa, consegna a chiunque lo eserciti.
«Il pensiero fa la grandezza dell’uomo.»
(Blaise Pascal – “Pensieri”)