Cosa Può Insegnarci L’Esperienza Della Meraviglia E Perché Dovremmo Imparare A Meravigliarci Di Nuovo

Tragicomico
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Si dice che la filosofia nasca dalla meraviglia. Già Platone (nel Teeteto, ad esempio) e Aristotele (nel Libro I della Metafisica) pongono tale esperienza all’origine della ricerca filosofica, considerando il meravigliarsi come quello stato d’animo che spinge l’uomo a domandarsi sul perché delle cose del mondo.

Nonostante questo stretto legame con la specificità del filosofare, il meravigliarsi è anche un’esperienza che riguarda ognuno di noi. A tutti noi infatti è capitato almeno una volta di meravigliarsi di qualcosa, sia esso un panorama mozzafiato, uno spettacolo sorprendente, oppure anche un dettaglio quotidiano che improvvisamente perde il suo carattere abituale e, quasi come se venisse illuminato di una luce nuova, fa risaltare tutte le altre sfumature di cui è intriso.

Ma cosa succede in noi quando ci meravigliamo? Come può essere descritta questa esperienza? Cosa infine l’esperienza della meraviglia può insegnarci?

Il mondo che viviamo quotidianamente è un mondo che non fa mistero. Il suo senso è sempre un senso che noi riconduciamo ad un quadro interpretativo già conosciuto. Per questo possiamo dire che noi siamo abituati ad esso, con tutto ciò che l’abitudine comporta (familiarità, sicurezza, controllo, ma anche indifferenza, passività, assuefazione). E vista l’abitudine con cui noi abitiamo il mondo del quotidiano, esso non riesce più a sorprenderci. Esso è, cioè, un mondo privo di mistero, scontato, ovvio.

«Il mondo non morirà mai per assenza di meraviglie,
ma solo per assenza di meraviglia. »
(Gilbert Keith Chesterton – “La nonna del drago e altre serissime storie”)

Anche quando una sorpresa sembra coglierci impreparati o un imprevisto ci obbliga a rivedere i nostri calcoli, quando abitiamo il mondo del quotidiano noi non perdiamo mai il fondamento dal quale interpretiamo. Sorpresa e imprevisto ci obbligano sì a rivedere la nostra interpretazione, ma non mettono mai in discussione il modo stesso con cui interpretiamo. Spesso infatti, basta re-integrare l’avvenimento sorprendente o il fatto imprevisto in un quadro più ampio, ma comunque già conosciuto, per ri-ottenere la stabilità abituale che caratterizza la quotidianità.

L’esperienza della meraviglia invece rompe alla radice con il modo abituale con cui diamo senso al mondo. Essa destabilizza le nostre certezze e segna una vera e propria cesura tra un prima ed un poi.

Ciò non significa che la meraviglia ci fornisca un modello interpretativo alternativo a quello del quotidiano. Essa semmai ci rende enigmatico l’ovvio, avvolge cioè il mondo in un’atmosfera interrogativa: i significati che quotidianamente attribuiamo alle cose del mondo non sono più stabili e pacifici ma come seguiti da un punto di domanda, che da un lato si rivolge sui significati stessi e dall’altro ci interroga di riflesso in quanto soggetti auto-coscienti.

La destabilizzazione che l’esperienza della meraviglia produce nel nostro habitus quotidiano, assieme all’interrogazione che essa comporta e che riguarda tanto le cose del mondo quanto noi stessi, credo sia particolarmente evidente se la si analizza in quanto esperienza visiva.

Prima ho accennato che, quando ci accade di meravigliarci, il mondo è come se risplendesse di una luce nuova, che trasfigura anche la più banale e abituale delle cose. Questa luce nuova è legata ad un mutamento dello sguardo. Ciò significa che non solo l’ovvietà del mondo visibile è resa enigmatica, ma che l’enigmaticità emergente si riferisce anche al soggetto della visione stessa, mettendo così in discussione ciò che egli credeva di essere (e di sapere).

Insomma, secondo questa prospettiva, è il fenomeno stesso della visione che si esplicita: attraverso la meraviglia, infatti, vengono all’evidenza tanto il visibile in quanto tale, che ora risulta enigmatico, quanto l’invisibile che lo accompagna e che, in un certo senso, lo rende attuale. Questo invisibile corrisponde a noi in quanto istanze soggettive che portano a presenza il visibile stesso.

«Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre,
ma nell’avere nuovi occhi.»
(Marcel Proust – “Alla ricerca del tempo perduto”)

Provo a delineare una situazione ipotetica di vita quotidiana in cui, improvvisamente, veniamo sopraffatti dalla meraviglia.

Mi trovo seduto su di un prato. Di lato a me qualche albero, una panchina vuota, poi un paesaggio profondo e tranquillo. Il panorama è particolarmente rilassante tanto che potrei dire di essere immerso in esso. I pensieri scorrono in me calmi e fluidi ed io mi faccio trasportare da loro senza decidermi a coglierne uno in particolare. Pur essendo parte del paesaggio è come se fossi assente da me stesso.

Improvvisamente però, senza causa né motivo evidente, accade in me qualcosa, qualcosa muta in ciò che sto vedendo. Si impone alla mia attenzione un dettaglio che diventa il centro dal quale un nuovo modo di osservare mi si palesa: la panchina vuota che ho di fronte emerge con violenza visiva dal paesaggio. A partire da essa anche tutto il resto cambia. La luce che illumina ogni cosa ora è diversa. Un attimo di lucidità pervade anche il mio essere. Alla placida assenza in cui ero immerso si sostituisce una presenza pregna di mistero e significati.

Provo a coglierne il senso generale. La panchina vuota, che prima quasi non vedevo, ora è lì, evidente, pungente nei significati che mi trasmette: essa è la cosa che io ho di fronte, è l’oggetto del mio sguardo. La materialità inanimata della panchina è sostituita da qualcosa di vivo ma anche di impalpabile: essa manifesta di riflesso la mia propria condizione di soggetto cosciente e finito. Il vero oggetto della meraviglia, ciò che questa esperienza porta alla mia attenzione, non è la panchina vuota dunque, ma sono io, io che guardo la panchina vuota, io in quanto soggetto che, come in uno specchio, torno a me stesso tramite ciò che sto osservando.

Da qui, da questo inaspettato ri-trovar-si, una prospettiva si dischiude di fronte a noi: quella prospettiva che sa sorprendersi ancora e di nuovo delle cose del mondo e che sa riconoscere che tutto ciò che ci accade non è mai banale e scontato, bensì misterioso ed enigmatico. Come un papavero che cresce attraverso una fessura nel cemento.

L’essenziale, io credo, è vivere la vita con uno spirito di meraviglia.
Quanta magia c’è intorno a noi, ma noi lasciamo che ci passi accanto!

(Leo Buscaglia – “Vivere, amare, capirsi“)

In ogni istante della nostra esistenza può emergere il senso enigmatico del mondo. Ma troppo presi come siamo dai nostri impegni quotidiani, noi continuiamo ad andare avanti e sempre più velocemente, senza renderci conto che il meraviglioso-enigmatico è qui, nell’attimo presente che stiamo vivendo.

Alcune volte tuttavia l’enigma si impone comunque al nostro sguardo, in maniera pressante, sorprendente, quasi violenta. In ogni caso destabilizzante. Ciò, come si è visto, può accadere attraverso l’esperienza della meraviglia, attraverso cioè quell’esperienza che, senza preavviso, irrompe nel nostro quotidiano rompendo il nostro rapporto con l’abituale quotidiano e al contempo aprendo il nostro sguardo sull’enigmaticità del mondo.

Pur non insegnandoci nulla direttamente, questa esperienza ci suggerisce possibilità di vita alternative. Ci indica percorsi esistenziali differenti e più consapevoli. Ci stimola a mettere in discussione le abitudini a cui siamo radicati semplicemente servendosi del più piccolo e banale dettaglio. E fa questo ponendoci di fronte a noi stessi, ci fa ri-trovare, specularmente, come di riflesso, nello spettacolo visivo che stiamo vivendo.

Nonostante la sua imprevedibilità, l’esperienza della meraviglia ci mostra a noi stessi in quanto soggetti della visione, ci obbliga cioè a ri-vederci e ri-trovarci in ciò che vediamo. Noi siamo l’invisibile che regge e attualizza ogni visibile. In questo senso, allora, la meraviglia è un’occasione da cogliere se vogliamo acquisire maggiore consapevolezza di noi stessi.

«La nostra meta non è mai un luogo,
ma piuttosto un nuovo modo di vedere le cose.»
(Henry Miller – “Big Sur e le arance di Hieronymus Bosch”)

Tragicomico

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4 commenti

Stefania Cioffi 23 Ottobre 2020 - 23:34

Articolo interessante ed esaustivo, nonché meritevole di meditazione…. Come del resto tutti i tuoi scritti.

Rispondi
Tragicomico 24 Ottobre 2020 - 13:21

Grazie Stefania, è sempre un piacere averti come lettrice attenta e riflessiva.

Rispondi
Stefano 23 Novembre 2020 - 4:27

La MERAVIGLIA!
Una caratteristica che influenza con vivido stupore (secondo il mio modesto parere di vedere le cose) la differenza tra l’immaginario e l’immagine e viceversa, per poi fonderle in un unica componente atta a contemplare il tempo, inteso come istante stesso in cui stiamo vivendo.
Ritengo che i tuoi scritti lascino poco spazio di interpretazione, poiché il messaggio che arriva al lettore è diretto e semplice da cogliere rendendolo inequivocabile.

Rispondi
Tragicomico 24 Novembre 2020 - 16:26

Ti ringrazio Stefano, per questo tuo commento che arricchisce il contenuto di questo mio articolo. Con umiltà provo a spiegare attraverso i miei scritti quello che è il mio modo di vedere e sentire la realtà che ci circonda. E cerco di farlo nella massima trasparenza e chiarezza. A presto.

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