Noi esseri umani, da sempre, ci siamo interrogati sulla natura del nostro essere e, allo stesso modo, da sempre, siamo angosciati sull’incertezza della risposta. “Chi siamo?”, “Da dove veniamo?”.. Eppure le pietre questo non se lo chiedono, così come non se lo domandano le piante e neppure gli animali che per certi versi sono gli esseri più vicini a noi nel creato. Un elefante non cerca di avere un’opinione di sé, un ghepardo non si arrovella il cervello per capire cosa lo distingue da un topo. Ma noi umani?
Noi umani siamo abituati a guardarci attorno e osservare il mondo, il cielo, l’universo e fare così alcune considerazioni esistenziali. La prima considerazione dell’uomo è che tutto ciò che vede è lì fuori. Il mondo così come l’universo gli appaiono come distinti da sé, come un qualcosa da cui si sente separato, di cui non è lui stesso l’artefice.
Siccome tutto ciò che vediamo è infinitamente più grande di noi, allora iniziamo a sentirci piccoli, miseri, isolati, vulnerabili. Come delle onde in un mare infinito, vorremmo essere delle onde che “durano per sempre”: forti, grandi, corpose, e invece siamo intimoriti dalla vastità dell’oceano, ne abbiamo paura e da qui nasce il perpetuo timore e l’insoddisfazione dell’uomo. Un tristezza figlia dell’errata percezione di due entità distinte. Ossia, colui che vede e ciò che viene visto. L’onda e il mare.
Un’altra considerazione che noi esseri umani facciamo è che il mondo e l’universo esistono già da prima della nostra venuta. Un mondo e un universo così ordinato, preciso, magnifico, di cui però, noi non siamo gli artefici. Ma non può esserlo stato nemmeno un nostro antenato. Chi, dunque? Ed è così che l’uomo, a differenza delle pietre, delle piante e degli animali, si mette in cerca del Creatore, di un dio, di un “qualcuno” di esterno capace di aver creato l’intero universo, compreso l’uomo stesso.
Ed è così che nascono le religioni. Nella religione l’uomo finisce per “affinare” quella sua visione limitata di sé, in quanto come essere umano viene posto su di un determinato gradino della creazione e prende per valida quella realtà indiscutibile sulla distinzione fra sé e ciò che percepisce e conosce. Esattamente come fa l’onda, che vede il mare infinito come un qualcosa di diverso da sé.
Ma se l’onda acquisisce la consapevolezza che è fatta di acqua, che le altre onde sono fatte di acqua e soprattutto che il mare infinito è fatto di acqua, allora quel senso di inadeguatezza, di timore, di separazione, svanisce. Ed è così anche per l’essere umano, non appena l’uomo scopre che lui stesso è la totalità, ossia che non c’è alcuna separazione fra creatore e creato, fra chi vede e ciò che è visto, fra se stesso e dio, allora smette di percepire l’intero creato come qualcosa di “esterno”, come un qualcosa che non gli appartiene.
Perché niente può esistere indipendentemente dalla totalità. Noi siamo il problema e noi siamo la soluzione. Se riuscissimo a capirlo allora saremmo liberi. Liberi dall’illusione di vivere una vita a sé stante, individuale, per prendere coscienza della perfetta unità col tutto. Non c’è nulla da cambiare, c’è solo da capire chi siamo. E noi siamo onde in un mare infinito.
“La nostra esistenza è un segreto che sta nel breve attimo in cui
l’occhio si apre al mondo e si chiude sull’eternità.”
(Romano Battaglia – “Ho incontrato la vita in un filo d’erba“)