La Lampadina Centenaria Che Funziona Ininterrottamente Dal 1901

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C’è una lampadina centenaria che funziona ininterrottamente dal 1901, è sempre accesa, non si guasta mai e continua a fare il suo dovere senza fronzoli. Sembra una fiaba, un mito o un mistero, invece questa lampadina centenaria esiste veramente, a Livermore, una cittadina della California, presso la caserma dei pompieri. È qui che questa lampadina a incandescenza fu installata nel 1901, messa in funzione ed è rimasta accesa fino al 1976, quando venne spenta per circa 23 minuti, a causa di un trasferimento della caserma in un nuovo edificio, poi venne riaccesa, e attualmente è ancora lì, funzionante da ben 122 anni!

Ideata da Adolphe Alexandre Chaillet e prodotta dalla Shelby Electric Company, rappresenta ancora oggi un tributo a un modo di produrre oggetti duraturi. È stata prodotta, infatti, con un filamento di carbonio otto volte più spesso, e quindi più resistente, del tungsteno che invece si sarebbe diffuso qualche decennio dopo – e tra poco scoprirete il perché . Attualmente emana una fioca luce da 4 watt ed è “sorvegliata” giorno e notte da una webcam (link).

Qualcuno si starà chiedendo coma mai, una lampadina prodotta nel 1901, con i mezzi e le tecnologie che a noi appaiono rudimentali, possa funzionare ininterrottamente per oltre un secolo. Mentre le lampadine di oggi a malapena raggiungono il decennio di vita. Cosa è successo nel frattempo? Perché gli oggetti non sono più così duraturi come lo erano una volta?

Succede che nel 1924, in una stanza a Ginevra, diversi signori in abito gessato si incontrano con un piano segreto e istituiscono quello che risulterà essere uno dei primi “cartelli” a livello mondiale. Il loro obiettivo era quello di controllare la produzione di lampadine di tutti i paesi e dividersi la torta dei profitti del mercato mondiale. Il cartello si chiamava “Phoebus” e includeva i principali produttori di lampadine di Europa e Stati Uniti. L’obiettivo era quello di scambiarsi brevetti, controllare la produzione e, soprattutto, controllare il consumatore! Nel 1925 fu addirittura istituita un’apposita commissione, la commissione “1000 ore”, che si prefisse di arrivare a modificare le lampadine in modo da portarne la durata al periodo stabilito.

Questa tendenza di fare business entrò successivamente in voga nella larga distribuzione durante la Grande Depressione (1929) come “scusante” per aumentare i posti di lavoro in fabbrica grazie ad una maggiore rotazione di prodotti sul mercato. Oggi, questa subdola tattica che permette alle imprese di aumentare i loro profitti ha un nome ben preciso: obsolescenza programmata.

Con il termine obsolescenza programmata, o anche obsolescenza pianificata, ci si riferisce a quei prodotti concepiti fin dall’inizio per avere una durata limitata nel tempo, per stimolare così i bisogni dei consumatori affinché continuino ad acquistare nuovi oggetti con ritmi sempre crescenti e dare vita ad un sistema di consumo dove l’intervallo di avvicendamento tra un prodotto e l’altro è sempre più breve.

Il nostro mercato è letteralmente invaso da prodotti costosi che però durano sempre meno. Ci avete fatto caso? Soprattutto dopo il periodo di garanzia iniziano i primi malfunzionamenti e il più delle volte riparare uno di questi oggetti costa più del prodotto stesso. Dagli smartphone alle stampanti, dalle scarpe alle automobili, dai tablet alle lavatrici. Sempre più complessi, sempre più fragili e meno duraturi nel tempo.

Un caso analogo a quello delle lampadine avvenne nel 1940, quando l’azienda chimica DuPont presenta al mondo il Nylon, una fibra sintetica e rivoluzionaria per le sue caratteristiche. Si trattava infatti di una fibra particolarmente resistente che venne utilizzata per la realizzazione di calze femminili, i classici collant per intenderci, ma… erano troppo resistenti! E duravano troppo. Pensate che al tempo, per quanto queste calze fossero resistenti, si potevano utilizzare per trainare un autoveicolo! Così agli ingegneri della DuPont venne ordinato di renderle meno forti e resistenti.

Ma c’è di più. Negli Stati Uniti, negli anni ’30, ci fu chi propose di rendere l’obsolescenza programmata come obbligatoria. Questo personaggio ha un nome e cognome e si chiama Bernard London. Fu proprio lui a coniare il termine “obsolescenza pianificata” attraverso un suo saggio, “Uscire dalla depressione attraverso l’obsolescenza pianificata”. Sosteneva che l’unica via per rivitalizzare l’economia piegata dal crollo della crisi del 1929 era quella di incentivare i consumi. Quindi, quale modo migliore della sostituzione obbligata dei beni per raggiungere il fine della crescita economica?

Pertanto risulta credibile intendere l’obsolescenza programmata non come una teoria della cospirazione, come in molti sostengono, ma come un vero e proprio modello di business che è diventato uno standard in molte industrie. In altre parole, l’obsolescenza programmata è diventata il motore del consumismo e della crescita economica.

La questione dell’obsolescenza programmata ha, però, un altro versante più moderno. Più sociale, tanto da poterla definire come obsolescenza psicologica. In questo caso la “scadenza” di uno smartphone, di un televisore, di una borsa, di un’automobile, non è soltanto fisica, ma è legata ad un aspetto psicologico del consumatore, influenzato com’è dai messaggi pubblicitari, dalle nuove funzioni disponibili per modelli sempre più nuovi e desiderabili che escono sul mercato del consumo.

Le aziende, quindi, non costringono più i consumatori ad acquistare i nuovi prodotti attraverso una pianificazione cinica com’è avvenuto con le lampadine. Ma si limitano a rendere le riparazioni più costose dell’acquisto di un prodotto nuovo. O, come scritto poc’anzi, fanno leva sullo status symbol garantito dai loro modelli dal design più innovativo o dotati di maggiori funzioni e comfort, innescando così una pressione sociale a possederli.

Queste manipolazioni psicologiche spingono il consumatore, dopo qualche anno di utilizzo, a sostituire un prodotto con uno analogo, ma più recente. E molto spesso non a causa di un guasto o di un malfunzionamento, ma semplicemente perché il proprio prodotto è banalmente “troppo vecchio”.

Il consumatore salta da un acquisto all’altro come un’ape dai fiori di acacia a quelli di castagno,
succhia i prodotti come fossero caramelle e poi li sputa non appena
gli vengono a noia o qualcuno gli sventola sotto il naso un orpello più bello.
(Dal mio libroSchiavi del Tempo”)

In uno scenario simile, tutto ciò che è auspicabile si chiama “decrescita”. Una vera rivoluzione non solo dei consumi, ma anche, e soprattutto, del modo di consumare. Paradossalmente, viviamo in una società nella quale il guasto di un prodotto viene considerato una caratteristica del prodotto stesso. Cioè, quando compriamo, incluso nel prezzo, c’è anche il guasto! Ormai è matematico, scientifico, è studiato che quel prodotto è stato realizzato per rompersi o per essere inefficiente dopo un certo lasso di tempo, in modo tale che il consumatore ne compri uno nuovo.

Tutto questo, invece, non è successo con la nostra cara lampadina centenaria. Alla faccia dell’obsolescenza programmata. Una lampadina che rappresenta a tutti gli effetti un monumento dell‘anticonsumismo. L’inventore sarebbe da considerarsi un eroe, un rivoluzionario, dovrebbe essere preso d’esempio… ma, ahinoi, il suo brevetto fu costretto al fallimento perché produceva “lampadine eterne”! Perché ricordatevi di una cosa: non siamo noi a governare la globalizzazione, è la globalizzazione a governare le nostre vite.

E adesso chiediti: quanti soldi ci hanno tirato fuori dalle tasche facendo tante di quelle porcherie per invogliarci a comprare, comprare e comprare sempre di più?

“Per permettere alla società dei consumi di continuare il suo carosello diabolico sono necessari tre ingredienti:
la pubblicità, che crea il desiderio di consumare, il credito, che ne fornisce i mezzi,
e l’obsolescenza accelerata e programmata dei prodotti, che ne rinnova la necessità.”

(Serge Latouche, da “Breve Trattato sulla decrescita serena“)

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4 commenti

Antonio 24 Gennaio 2020 - 15:43

E fossero solo le lampadine! L’articolo mi ha fatto tornare agli anni ’90, quando si affacciavano le prime vetture con la marmitta catalitica. Ecco, quello è il futuro, da oggi non ci sarà più il problema dell’inquinamento. E tu cosa fai? Non vuoi spendere qualcosa in più per aiutare l’ambiente? Da allora ho avuto la sensazione che tutta questa questione ambientale fosse solo una scusa per farci sentire in colpa e inadeguati e, coincidentalmente, metterci le mani nelle tasche

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Tragicomico 26 Gennaio 2020 - 19:38

Pienamente d’accordo, nell’articolo ho riportato l’esempio della lampadina perché è stato uno dei primi escamotage per iniziare a sottrarre denaro agli acquirenti. Denaro che, come scrivo nel mio libro “Schiavi del Tempo”, altro non è che la moneta più superficiale, perché il vero mezzo di scambio è il tempo della tua vita che impieghi per avere quel denaro da spendere in oggetti e servizi creati apposta per emetterti le mani in tasca.

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Luciana 18 Febbraio 2022 - 7:05

E il problema dello smaltimento dei rifiuti, come “tragica” conseguenza di tutto questo?!!! Non è il vero PROBLEMA?

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Tragicomico 18 Febbraio 2022 - 19:11

E’ un problema, come un grosso problema è che nessuno si chieda del perchè produciamo così tanti rifiuti.

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