La lepre e la tartaruga è una favola attribuita allo scrittore greco antico Esopo e ritengo che debba essere presa d’esempio da tutti noi: nella vita infatti, a vincere, non è chi corre più veloce degli altri, ma chi parte in tempo e segue una sua andatura naturale, costante. Chi va piano va sano e va lontano. Ma la questione non è solo in termini di vittoria, perché c’è una questione ancora più profonda e angosciosa da analizzare: tutto questo correre, tutta questa fretta, ci disorienta, non troviamo più la strada giusta, abbiamo perso il senso del dove andare e del perché ci andiamo. Corriamo e basta così come fa la lepre nella favola, senza una direzione, senza un obiettivo naturale, perché cosi ci è stato insegnato e così ci è stato detto di fare.
La lepre un giorno si vantava con gli altri animali: «Nessuno può battermi in velocità» diceva «sfido chiunque a correre come me». La tartaruga, con la sua solita calma, disse: «Accetto la sfida».
«Questa è buona!» esclamò la lepre; e scoppiò a ridere.
«Non vantarti prima di aver vinto replicò la tartaruga. Vuoi fare questa gara?».
Così fu stabilito un percorso e dato il via. La lepre partì come un fulmine: quasi non si vedeva più,
tanto era già lontana. Poi si fermò, e per mostrare il suo disprezzo verso la tartaruga
si sdraiò a fare un sonnellino. La tartaruga intanto camminava con fatica, un passo dopo l’altro,
e quando la lepre si svegliò, la vide vicina al traguardo.
Allora si mise a correre con tutte le sue forze,
ma ormai era troppo tardi per vincere la gara.
La tartaruga sorridendo disse: «Non serve correre, bisogna partire in tempo».
Come possiamo dare un senso alla nostra vita se non sappiamo dove stiamo andando? La tartaruga ci insegna che si può essere perspicaci e vincenti anche nel vivere con lentezza, seguendo quelli che sono i ritmi naturali. E la natura stessa ci insegna che c’è un tempo per ogni cosa. La natura nel far crescere un albero, nel far nascere un essere vivente o nel far maturare un frutto, non segue la via della velocità e della fretta, e tantomeno insegue le lancette dell’orologio. Segue il proprio ritmo. Quello naturale.
E non ha alcun senso sostenere, come fanno in tanti, che l’origine della fretta è insita nella natura umana. Perché i risultati sono sotto gli occhi di tutti: sono gli stili di vita della società contemporanea a imporre ritmi pressanti e frenetici all’uomo. E le conseguenze di tutto questo correre sono a dir poco drammatiche. Il nostro orologio biologico è sconvolto, gente che mangia quando capita e come capita, persone che dormono poco e male, mal di testa sempre più diffusi, lo stress che ormai è diventato cronico. Stiamo perdendo ogni connessione con noi stessi, con ciò che siamo. E nonostante ci si renda conto che c’è bisogno di una pausa di riflessione, nessuno rallenta, perché fermarsi in questa società fatta di velocità equivale a perdere tempo. Tutti vogliono correre, tutti vogliono vincere, ma tutti alla fine arrancano, proprio come la lepre.
L’essere umano vive un perenne disagio, ma non lo sa, perché non riflette, o meglio, non ha tempo per farlo. Un disagio rappresentato dalla velocità con cui questa società si muove, ragiona, pensa, si rinnova, e dalla fretta con cui le persone sono costrette a muoversi, ragionare, pensare, per stare al passo. Una vita che non si svolge più a misura d’uomo, ma segue il culto della velocità, onnipresente e inafferrabile. Provate ad accostare con la vostra auto al marciapiede per aiutare una persona anziana a salire in macchina. Dinanzi alla sua lentezza di movimento e azione vi accorgerete subito dell’impazienza degli altri automobilisti in coda, dello strombazzare dei loro clacson perché qualcuno si è permesso di rallentare il loro percorso. Eppure lo state facendo per una giusta causa, ma la velocità prevale su tutto, anche sul senso di umanità.
Sempre restando in tema di macchine, cosa vogliamo dire di quegli automobilisti che non sopportano l’andatura regolare di chi gli sta davanti, un’andatura inferiore alle loro pretese di velocità, decidono quindi di eseguire un sorpasso pericoloso per poi accorgersi di dover svoltare all’improvviso, pochi metri più avanti, in una strada secondaria? Bastava seguire un’andatura naturale e avrebbero potuto comunque svoltare, senza eseguire quel sorpasso pericoloso per poter guadagnare qualche secondo. Per ottenere cosa? Probabilmente il medesimo risultato della lepre, stanchi ed esausti di tutto questo correre. E se ci fate caso, vi accorgerete di come la nostra vita è fatta di centinaia di episodi simili, stressanti e inumani, dove tutto ciò che conta è essere rapidi, veloci e non essere d’intralcio per la corsa altrui.
Così come veloci a crescere lo sono i bambini di oggi, portati ad imparare in fretta, mentre maneggiano dispositivi elettronici sempre più complessi e interconnessi, trascorrono gran parte del tempo in compagnia di adulti, parlano e pensano come loro e quel che è peggio è che vengono trattati come adulti. Figli che rientrano nel progetto della corsa e che sono costretti a seguire quella che possiamo definire una educazione pianificata. Nelle scuole, l’ossessione di molti insegnanti è quella di rispettare il programma da svolgere durante l’anno scolastico, costi quel che costi, senza tener conto dello sviluppo e della formazione degli allievi. Ragazzi che vengono visti come dei contenitori da riempire, cervelli che non vengono sviluppati per pensare, ragionare, riflettere ma usati come degli hard disk su cui caricare il programma scolastico. Libri su libri, zaini pesanti, studenti svogliati, ma la cultura non può e non deve essere un peso, piuttosto una risorsa per crescere.
La scuola invece, sin dalla prima elementare, diventa una competizione, con voti, pagelle, per stabilire chi è il migliore e chi invece è troppo lento nell’apprendere. Perché tutto ciò che conta, come sempre in questa società, è la velocità, anche nell’apprendimento. E per stimolarli verso la fretta, ecco che c’è quel demone pronto ad ingoiare un anno della tua vita: la bocciatura. Bisogna correre, e non è una corsa fisica, quanto mentale, infatti buona parte di questi bambini non sa più fare una capriola, arrampicarsi su di un albero, saltare con una gamba e non conosce nemmeno un gioco di strada. Questo perché ai bambini non è concesso più il tempo di sperimentare, di essere naturali e in armonia con i tempi della natura. Sono diventati degli adulti precoci.
Destino inverso invece per gli anziani di oggi, troppo lenti per questa società che ha come fulcro la velocità e che ha rimpiazzato il valore della soliderà con quello dell’autonomia. Bisogna essere autonomi, indipendenti, in una società in cui ognuno deve pensare per sé, ma soprattutto, deve pensare a correre, ad imparare in fretta e velocemente, una società in cui l’aver bisogno di aiuto è considerato un affetto infantile. Si sentono tagliati fuori, il mondo per loro cambia troppo in fretta e non sono più capaci di correre come una volta. Arrancano, fanno fatica, e chi non riesce a stare al passo con tutte queste conoscenze tecnologiche è continuamente costretto a ricorrere all’aiuto di altre persone. Ma c’è vergogna ad ammettere le proprie fragilità, anziani che così perdono fiducia in se stessi, si sentono impotenti e inutili in una società dove la saggezza ha perso tutto il suo valore, dove la lentezza non trova posto, e non è un caso che gran parte degli anziani si sentano soli, abbandonati, tristi. Vite di anziani silenti e sofferenti troppo spesso nascoste e imprigionate dietro porte e finestre anonime.
C’è chi dice che questo è il costo del progresso e chi non si adatta a questa società che evolve sempre più in fretta è destinato a scomparire, così come sono scomparsi gli animali e le piante del passato che non seppero adattarsi ai cambiamenti climatici e geologici. C’è chi sostiene che senza il progresso la civiltà si fermerebbe o, addirittura, rischierebbe di scomparire. Siamo sempre lì, nel darwinismo sociale, dove la vita è una lotta e la società si divide in due categorie: quella dei vincenti, in questo caso di chi corre, e quella dei perdenti, ovvero di coloro che procedono con lentezza. Ed è in uno scenario simile che è bene tenere a mente la favola di Esopo: non conta tanto correre e correre a perdifiato, quanto avere un’andatura il più naturale possibile, perché… chi si ferma è perduto!
2 commenti
Non sai quanto hai ragione, lavoro in una scuola nella quale i bambini vengono stimolati all’autonomia, alla comprensione di quello che stanno facendo, che sia matematica o storia o geografia o italiano…
Ma è la prima volta che trovò un simile tipo di insegnamento, è una mosca bianca, peraltro molto criticata dai vecchi parrucconi.
Immagino, lo so, le mosche bianche sono poco gradite in questo Sistema, e ne parlo anche nel mio libro “Schiavi del Tempo“. Imparare ad essere autonomi, a splendere di luce propria, come un sole, e non di luce riflessa come un satellite, credo sia l’insegnamento più importante da trasmettere. In ogni ambito.