C’era una volta, nella ridente nazione di Democrazia, un burattinaio di nome Potere, famoso per il suo ghigno beffardo e le lunghe dita nodose che si intrecciavano come serpenti affamati. Con abilità diabolica, manovrava i suoi burattini politici, marionette goffe con teste vuote come zucche e cuori gonfi di vanità, più interessati alle poltrone dorate che al bene del popolo.
Ogni burattino politico brandiva una bandiera sgualcita, come un cavaliere senza destriero, recitando copioni logori su giustizia, libertà e prosperità. Ma dietro le loro maschere sorridenti, si nascondeva un groviglio di avidità e opportunismo, degno dei peggiori mercanti di anime.
Potere li muoveva a suo piacimento, tirando qua e là i loro fili invisibili come un maestro burattinaio al gioco. Li costringeva a promettere l’impossibile, ad accendere odi inutili come fiammiferi al vento, seminare discordia tra la gente semplice come semi di zizzania, dividendo il popolo in fazioni nemiche come polli nel pollaio. E la gente, accecata dall’illusione della scelta, si schierava, li applaudiva con un tifo da stadio degno dei tifosi più accaniti, ignara di essere solo uno strumento al servizio di un burattinaio senza scrupoli.
Un giorno, però, Potere, annoiato dai soliti giochi di manipolazione, decise di giocare un tiro birbone, ancora più crudele dei precedenti. Con un sorriso sornione sulle labbra, ordinò ai suoi burattini politici di indire un referendum sul tema della “felicità obbligatoria”. I burattini politici, con la loro solita enfasi ipocrita, dipinsero un futuro radioso dove la tristezza era bandita per decreto e la gioia sgorgava da ogni cuore, come un fiume in piena che inondava i campi aridi.
La gente, stanca di miserie e conflitti, votò in massa a favore, sognando finalmente un futuro migliore, dove i sorrisi non sarebbero mai stati finti e le lacrime relegate a un lontano ricordo. Ma la felicità obbligatoria non era che un’illusione crudele, una mera chimera confezionata da Potere per assoggettare completamente il popolo. La nazione di Democrazia si era così trasformata in una macabra parodia di se stessa, un regno di persone felici per decreto, felici in apparenza ma ormai prive di anima e volontà, automi senza vita che vagavano per le strade come ombre grigie.
E così vissero per sempre felici e contenti… o almeno, così sembrava. Perché dietro i loro occhi vuoti e i loro sorrisi forzati, si nascondeva un’angoscia infinita, il rimpianto di un’umanità perduta, sacrificata sull’altare di una falsa promessa. In fondo ai loro cuori, ormai di pietra, cresceva un desiderio ardente: quello di liberarsi dai giochi di Potere, di riscoprire la vera felicità, quella che nasce da dentro, non da un decreto, e di ridare vita alla loro Democrazia, ormai ridotta a un triste teatrino di marionette.
Ma riusciranno i nostri eroi, o meglio, anti-eroi, a spezzare le catene dell’illusione e a riconquistare la loro libertà? La risposta rimane sospesa, come una spada di Damocle, sul futuro di questa tragicomica favola chiamata Democrazia.
6 commenti
Come a volte succede, leggo con attenzione quanto scritto da Ivan e, appena dopo, capita di trovare qualcosa che può essere una considerazione o un aggancio con l’argomento trattato. E questa volta è stato l’ascolto casuale di una canzone dell’95 di Antonello Venditti il cui titolo lascia poco all’immaginazione: Prendilo tu questo frutto amaro. Un testo che risulta quanto mai attuale con parole finali che invitano alla speranza. Del resto rigirarsi nel pessimismo serve solo a stare peggio e allora l’ascolto di questa canzone può far sorridere ( anche se con un po’ di amarezza). Grazie e buona vita a tutti.
Grazie a te, Rosa, per avermi letto e per aver sbloccato in me il ricordo di questa canzone che non ascoltavo da anni. Che dire, da una parte sì, non ci resta che la speranza, ma con quella non si cambia il mondo né possiamo cambiare noi stessi. C’è bisogno di una parte attiva, di una “fame” di libertà e di felicità che ormai non vedo più negli occhi spenti della gente, incollati agli schermi dei loro dispositivi e tantomeno nei loro cuori, ormai chiusi a chiave dentro a una gabbia di apatia e resa incondizionata. Forse siamo già delle marionette? Al tempo il compito di mostrare l’ardua sentenza. Un abbraccio e buona vita anche a te.
Tutto quello che nascostamente cresce, quando è pronto si rivela alla luce, non prima, altrimenti sarebbe un fallimento. Quindi, caro ivan, sono fiduciosa del fatto che,oltre l’apparente immobilità, qual’cosa si muova… bisogna saper attendere che questo ardente desiderio maturi al punto da divampare in un bisogno assoluto e vitale. Cerchiamo di essere pronti. Ognuno con la propria fiaccola accesa. grazie ivan!! ti seguo sempre!!!
Sono d’accordo, Mari. C’è da farsi trovare pronti perché il momento arriverà. Del resto, tutto ha un inizio e una fine, e la differenza sarà fatta solo dallo stato di lucidità e presenza delle persone. Sarà una prerogativa della moltitudine o solo di una sparuta minoranza? Perché, in caso di quest’ultima ipotesi, si tratterebbe di un’altra occasione sprecata. Un abbraccio!
Il “potere” Governo è in allarme e sospetta che vi possa essere un complotto: “congiura anarchica o gruppi estremisti?”
Il “potere” Governo decreta, inizialmente, lo stato di assedio della città e, successivamente, non riuscendo a piegare la resistenza civile della popolazione, la abbandona e trasferisce la capitale altrove. La previsione che la città cada in preda al caos non si verifica, grazie al senso di responsabilità dei cittadini…
Estratto da “Saggio sulla lucidità” José Saramago
Grazie Ivan per gli spunti di riflessione sempre interessanti.
Grazie a te, Carletto, per questa citazione tratta dal “Saggio sulla lucidità” di José Saramago, trovo che sia molto arricchente in aggiunta alla mia favola traficomica.