Forse ti starai chiedendo da dove ho tirato fuori “Feticismo Merceologico“, ma in verità si tratta di uno dei tanti temi che Karl Marx affronta nella sua opera visionaria “Il Capitale”, uno dei libri iconici della storia umana e che ha profondamente segnato il pensiero critico del Novecento. Quindi prendo in prestito questa sua espressione per iniziare un articolo che vuole porre l’attenzione sul consumismo sempre più sfrenato presente nella nostra società alienata. Un consumo coatto di merci, sotto forma di culto dell’avere, come compensazione alla noia e alla depressione di una vita vuota, sintomo della carenza spirituale dell’essere umano moderno.
Del resto l’evidenza non la può più nascondere nessuno: appartamenti che sono diventati depositi di merci di ogni tipologia e natura, corsi di laurea per diventare influencer e studiare come invogliare la gente a consumare ancora di più, centri commerciali gremiti di persone hanno preso il posto delle cattedrali e ogni giorno, nel mondo, un essere umano si sveglia e sa che dovrà correre più degli altri per accaparrarsi l’ultimo orpello tecnologico, come se non ci fosse un domani. Un tempo, i grandi pensatori del passato si chiedevano a vicenda: qual è il senso della vita? Oggi rispondere sarebbe molto semplice: avere sempre di più.
Ma perché si vuole avere sempre di più? Perché questo feticismo merceologico? Dire che si tratta di mettere una toppa per la propria carenza di felicità sarebbe fin troppo facile. Anche se veritiero. Ma pur sempre una toppa effimera. Perché avere qualcosa, possedere un oggetto, controllare un dispositivo, non sono che momenti transitori nel processo vitale dell’essere umano. Ciò che hai può andare perso, ciò che possiedi si può rompere e ciò che controlli può non funzionare più. E cosa ti resta? Nulla… quindi vuoi sempre di più, per mettere la tua identità di consumatore al sicuro. Più hai e più sei. Per dirlo con le parole di Fromm: “io sono ciò che ho e ciò che consumo.”
Ecco perché il feticismo merceologico diventa una compensazione dell’alienazione umana. Una condizione non-umana, alienata, di non-essere, nella quale avere dà un senso effimero alla vita stessa. Il consumo colma questo vuoto interiore ma ogni vuoto per natura inghiotte ciò che riceve, lo annulla in breve tempo e così il consumatore è costretto a consumare sempre di più dal momento che il consumo precedente perde presto il proprio carattere gratificante. Zygmunt Bauman nel suo libro “Consumo, dunque sono” scrive:
“Consumiamo ogni giorno senza pensare, senza accorgerci che il consumo sta consumando noi e la sostanza del nostro desiderio. È una guerra silenziosa e la stiamo perdendo.”
Stiamo perdendo la guerra contro il consumismo, restiamo incastrati nella trappola di una visione merceologica della vita, secondo la quale l’aumento di benessere porterebbe armonia e pace nelle nostre esistenze. Invece si è palesato il lato opposto della medaglia. Quello dell’egoismo individuale. Ognuno vuole tutto per sé e tanto più riesce ad arraffare, tanto più riesce a placare la sua mania di possesso. Il piacere oggi come oggi è diventato possesso, non condivisione. Io sono tanto più riesco ad avere.
Viviamo secondo il mito Occidentale della “ricerca della felicità”, una felicità istantanea che richiede dosi sempre maggiori e ripetute. Ma è talmente evidente il fatto che rispetto ai nostri antenati noi non siamo più felici. Siamo più alienati, questo sì, isolati, spesso vessati, consumati da vite frenetiche e vuote di amore. Ne parlo ampiamente nel mio libro “Schiavi del Tempo”. Siamo costretti a prendere parte ad una folle corsa, per accumulare sempre di più, per essere almeno visibili e conservare lo status di consumatori cronici, in una società che vive per il consumo e fa del feticismo merceologico una ragione di vita.
Nasce così la competizione, e anziché avvicinarci agli altri, ci allontaniamo, gli altri diventano i nostri antagonisti, i nostri concorrenti in questa folle corsa dettata dal feticismo merceologico. E la gente non è mai soddisfatta, perché i loro desideri non hanno mai fine. Provano invidia per coloro che hanno di più: case sempre più grandi, macchine sempre più lussuose, abiti scintillanti e tecnologie innovative. Una brama di possesso che, usando proprio le parole di Bauman, porta ad una guerra di classi senza fine.
Le legge del consumo è una legge onnivora, vuole comandare su tutto e su tutti. Come ti giri, ti ci imbatti. Permea le nostre esistenze, determina i nostri affetti, condiziona i nostri pensieri, il nostro agire, i nostri sentimenti. La merce non è più soltanto un bene di prima necessità, la merce è diventata la nostra droga e ne vogliamo sempre di più. Il superfluo si è fatto necesittà. E per averne di più devi avere sempre più soldi, e per avere più soldi devi lavorare di più e per poter lavorare di più devi impegnare tutta la tua vita nel processo lavora-produci-consuma-lavora-fine corsa.
Una volta le persone avevano molto più tempo libero a disposizione, perché la loro vita non era ancora un mezzo da scambiare per ottenere soldi per poi comprare oggetti. Il consumismo ha fatto tabula rasa di tutti gli altri mezzi di scambio che l’uomo si era inventato lungo il suo faticoso percorso di vita. Un tempo in cui esistevano il baratto, il dono, la reciprocità e la gratuità. Adesso, invece, se non hai denaro sufficiente non hai la forza sufficiente per dare una senso alla tua esistenza.
“Ci hanno convinti a chiamare “normalità” quella che è solo la scimmia sulla schiena del consumismo, che chiede dosi sempre più grandi e frequenti ai suoi adepti. Per tappare le voragini di noia e dolori profondi siamo indotti a spendere, sprecare e accumulare, siamo costretti a trovare nuovi desideri da soddisfare, e per poterlo fare dobbiamo guadagnare più denaro, aumentare il nostro potere di scambio, così da continuare a sperperare e alimentare per sempre la ruota dei Nuovi Schiavi. Perché il giorno in cui ti fermi e si svela l’inganno, il delirio bussa alla tua porta di casa. Meglio non pensare, dunque, meglio non vedere.”
(Tratto dal mio libro “Schiavi del Tempo”)
Perché, cari lettori, parliamoci chiaro, oggi come oggi il denaro e i consumi hanno il potere nefasto di rimandare quelli che sono gli interrogativi più significativi, ci offrono il pretesto per convogliare le nostre energie verso l’obiettivo più semplice da raggiungere, e anche più banale. In altre parole, misuriamo la nostra esistenza in aumento o diminuzione degli introiti, quegli stessi introiti che ci permettono di non fare caso a domande troppo scomode… lavoro, guadagno, consumo, ma non sono mai sereno, perché? Dove sono finiti i miei affetti? Perché questa casa, piena di oggetti, è così fredda e vuota? Cosa manca?
A volte, forse, ciò che manca, è un qualcosa per il quale uno scontrino non serve.
8 commenti
Come sempre, hai illustrato una amara realtà. Basta porre un poco di attenzione alla gente che si affanna nelle strade, al lavoro, addirittura nel proprio tempo libero, e ti accorgi che è tutto vero ciò che hai scritto. Stesso commento positivo lo voglio esternare per il tuo libro “Schiavi del Tempo” che ho acquistato subito dopo l’uscita e che ho letto molto volentieri. Grazie per il tuo impegno e per quanto continui a scrivere per noi con l’intento di risvegliare quelle coscienze che, qui in Italia, sembrano particolarmente assopite.
Grazie Roberto, apprezzo molto il tuo duplice complimento. Hai ragione, le coscienze ormai sono prese dal sonno, inebriate dal consumismo e dalle molteplici distrazioni, hanno perso quella che è la direzione della vita per percorrere la strada della morte prematura. Vivi fuori, morti dentro. È questa la foto di una società folle, che corre dritta verso il baratro. Bisogna invertire la rotta subito, adesso, ma per farlo c’è bisogno di una forte presa di consapevolezza su larga scala. Ecco perché continuo a scrivere e divulgare, senza che qualcuno mi obblighi a farlo. Sulla stessa scia di libertà e indipendenza ho pubblicato “Schiavi del Tempo” e sono felice di sapere che l’hai letto molto volentieri. Grazie ancora e ti aspetto alla prossima lettura!
alienazione, reificazione, addiction. Condivido pienamente
Grazie Bruno, per essere passato dal mio blog.
amara verità.. però ti dirò: personalmente non ero una gran “consumatrice”, anzi, ma soltanto quando ho perso il lavoro (e non sto qui a tediarti dei motivi) mi sono resa conto di quante cose ne potevo fare a meno. ed è stato liberatorio dopo l’ iniziale sofferenza. la verità è l’ odierna società dagli anni 50 in poi, ci obbliga in qualche modo a diventarne schiavi di un certo modo di vivere-pur non potendo permettercelo a volte. ci crea desideri da esaudire.. le famose catene di cui tanto si parla ma che pochi se ne accorgono realmente. grazie dei tuoi articoli.
Grazie a te per il tuo intervento, a dimostrazione che dietro a qualsiasi evento distruttivo c’è sempre un’opportunità ad attenderci, che il più delle volte ha a che fare con la consapevolezza. Un abbraccio
Condivido, so che è così, ma è molto difficile uscirne. Spesso quando compro qualcosa che tanto mi attira finisce che lo lascio in garage per giorni, perché il piacere finisce appena l’oggetto ce l’hai. Altra cosa è stare soli, la natura intorno, quella non delude mai.
Esatto, trattasi di piaceri effimeri, un piacere usa e getta. Ben altra cosa è vivere il mondo naturale come un dono quotidiano, che si rinnova di giorno in giorno. Spesso ce ne dimentichiamo, ma abbiamo molto più di quel che crediamo.