La cultura del terrore è da sempre uno strumento di potere, in quanto amplifica il raggio d’azione di chi lo controlla e allo stesso tempo giustifica il mantenimento di una condotta autoritaria. La cultura del terrore è altresì una tecnica di manipolazione delle masse, poiché in un contesto sociale di terrore risulterà molto più semplice ottenere lo smarrimento psicologico dei sudditi, conservando l’adesione volontaria di questi ultimi ai programmi imposti dall’alto.
Una cultura, quella del terrore, che sta conoscendo il suo periodo di massimo splendore grazie all’espansione dei mass media prima, e il successivo arrivo di internet. Le notizie viaggiano alla velocità della luce e possono raggiungere ogni angolo del mondo, così che la cultura del terrore possa diffondersi rapidamente su scala mondiale. Anche i social sono diventati mezzi indispensabili per incutere una sempre maggiore destabilizzazione psicologica.
La manipolazione avviene tramite la scelta delle notizie capaci di far risaltare certi fatti e avvenimenti, piuttosto che altri, ed è così che gli organi dell’informazione ripetono in continuazione dati allarmanti, notizie di cronaca, disgrazie, scenari apocalittici, perché è soltanto attraverso questo continuo instillare la cultura del terrore che si può dare vita ad una società di replicanti sempre più frustrati e insoddisfatti. Sudditi che si sentiranno ancora più insidiati, vulnerabili e sotto pressione; schiavi moderni desiderosi di essere protetti.
“Se si vive con una costante minaccia che pende su di noi e i nostri figli, ci si colloca in una condizione di sudditanza psicologica, si diventa propensi ad accettare qualsiasi condizione e qualsiasi regola pur di ottenere in cambio una (più o meno realistica) promessa di sicurezza e di protezione.”
(Claudia Benatti – “Virus letali e terrorismo mediatico“, 2002)
Queste parole della giornalista e saggista Claudia Benetti vanno ad aggiungersi a quelle dell’antropologo francese Gustave Le Bon, che nel 1895 pubblicò “Psicologia delle Folle”, un testo visionario, letto e studiato dai dittatori di inizio Novecento fino ai politici dei giorni nostri. Ecco uno stralcio molto interessante:
“Annullamento della personalità cosciente, predominio della personalità inconscia, orientamento determinato dalla suggestione e dal contagio, dei sentimenti e delle idee in un medesimo senso, tendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite, tali sono i principali caratteri dell’individuo in una folla. Egli non è più sé stesso, ma un automa diventato impotente a guidare la propria volontà.”
(Gustave Le Bon – “Psicologia delle Folle”)
L’essere protetti e tutelati dinanzi al terrore comporta un rapporto di totale passività verso l’autorità protettrice, subentra quindi un meccanismo di deresponsabilizzazione individuale, in altre parole il suddito sente ancora più la necessità di essere guidato, governato, protetto dalla mano del padrone.
Del resto terrore e politica sono due facce della stessa medaglia, facenti parte del medesimo cancro divoratore. Non può esserci politica senza una minaccia qualsiasi ad incutere terrore nel cittadino: una crisi finanziaria, un’emergenza sanitaria, una guerra, un’inflazione, una qualsivoglia situazione esterna che verrà cavalcata dalla politica affinché possa tramutarsi in una “paura procurata”.
La politica attua la cultura del terrore e benedice la paura che subentra nel cittadino, la diffonde come una peste, affinché la paura possa impregnare ogni mente presente su questo pianeta. La motivazione è semplice: chiunque diffonderà questa paura assumerà il ruolo di guida morale nella presunta battaglia contro il nemico esterno (oggi è un virus; domani, magari, sarà un’emergenza energetica).
Ora, è evidente che concentrare l’attenzione pubblica verso un’emergenza esterna da combattere, possiede una sua duplice valenza. La prima, abbiamo visto, è la paura. La seconda è distogliere l’attenzione del suddito da ciò che fa davvero male, da quello stato di insoddisfazione che pervade ogni cellula del suo corpo. Perché chi governa non solo ti vuole in ginocchio, ma ci tiene a farti dimenticare del perché sei costretto a stare in ginocchio. Questa è la sottile arte della manipolazione.
Nessuno che si preoccupa di questa umanità sempre più sgretolata e disagiata, degli individui sempre più soli e incattiviti, dei milioni di esseri umani che continuano a morire ogni anno a causa di uno stile di vita sempre più accelerato, frenetico, frustrante e tossico. Dei milioni di morti causati dagli incidenti stradali, di uomini e donne che fanno uso e abuso di psicofarmaci, dell’iperconsumo di farmaci, dei morti sul lavoro, dell’inquinamento industriale, dell’alimentazione sempre più innaturale e malsana e del virus della fame nel mondo che da secoli miete milioni di vittime ogni anno.
La politica del terrore ti vuole trincerato dietro la tua bella porta blindata, a guardarti in cagnesco fra le inferriate delle finestre con gli altri tuoi simili, anche loro rinchiusi nei propri loculi robotizzati, dove c’è tutto, tranne l’allegria e l’armonia. Ricordi lontani di un mondo che non c’è più. Adesso l’imperativo è svegliarsi pensando a quello che si “deve” fare, agli obblighi da assolvere. In questa società progressista non c’è spazio per i sogni, per le passioni, una realtà assopita nella quale anche le relazioni personali assumono connotati sempre più inconsistenti. Si è sempre più soli, sempre più isolati. E così che l’infelicità diventa un’abitudine nella quale crogiolarsi.
“Diluito nella sedazione del grande inganno collettivo, il malessere a poco a poco viene ammansito, masticato e inglobato. E lentamente, senza quasi rendercene conto, l’anomalia diventa consuetudine, il dolore un’abitudine, l’infelicità il cuscinetto confortevole in cui sprofondare nell’eterno oblio. […] E allora in giro non si vedranno più vivi, ma solo masse inquietanti di sopravviventi, talmente assuefatti all’infelicità da non potere più vivere senza, da non riuscire più a percepirla come una prigione ma come un castello dorato in cui arroccarsi per non vedere quello che c’è fuori.”
(Dal mio libro “La cattiva abitudine di essere infelici”)
Eccolo qui il risultato della cultura del terrore, il suddito annebbiato e intimorito dai pericoli ingigantiti per l’occasione, finirà per sottovalutare le minacce ben più gravi che gravano sulla sua testa. Come il totale spreco della propria esistenza. E tanto più queste minacce tenderanno a venire a galla e maggiore sarà la pressione della politica affinché possano essere nuovamente occultate.
La politica riesce sempre a sfruttare un qualsiasi inconveniente – vedi la pandemia – a vantaggio del mondo che sostiene, fatto di terrore e paura. Ma il suo più grande capolavoro è un altro. È aver trasformato la libertà personale in una licenza. Cosa sono i diritti se non, appunto, una concessione? E in quest’epoca liquida ci stiamo accorgendo di come questi stessi diritti siano diventati fluidi, con capovolgimenti repentini: diritti tolti, aumentati, diminuiti, rimessi, concessi a seconda delle circostanze e della convenienza di chi attua tali manovre. Ai cittadini, quindi, non resta che dividersi briciole di libertà in una guerra fra poveri, con il risultato finale che chi non può volare, si “consola” tirando in basso tutti gli altri.
6 commenti
Caro Ivan! Analisi perfetta : sei una grande anima in una forte coscienza. Come vorrei che ogni uomo uscisse dall’ovile, che in realtà è un …macello sull’altare della LIBERTA’.
Io sono anziana e ormai fuori dal gioco, ma… mi piace sempre ricordare “libertà va cercando ch’è sì cara, come sa chi per lei VITA RIFIUTA” …..( Dante– canto I vv 70-72 purgatorio)
Un abbraccio
Grazie Amalia, per i complimenti e per il tuo contributo. Io credo che in questo periodo di netta divisione fra il popolo ci sia la necessità di guardare un attimino oltre, per capire, per comprendere che nel dividere tutto si dimezza, libertà compresa. Ecco il consiglio che vorrei dare: Quando si comincia ad accettare una libertà condizionata per una parte della popolazione, non giratevi dall’altra parte perché prima o poi vi verrà presentato il conto.
Un caro abbraccio.
Scusa Ivan se irrompo nel tuo blog e rompo… E’ per Amalia: perchè se sei anziana, ti consideri fuori dal gioco? A mio avviso, si è della partita finchè si campa. Se poi si decide di stare fuori dalla mischia e fare da spettatore, è una rispettabile libera scelta.
Ciao, con questo articolo, includi anche gli pseudo-intellettuali complottisti che affermano cose come “ti sei vaccinato, quindi morirai”? Ci tengo a precisare che non è una domanda provocatoria o altro, in quanto concordo con alcune cose che affermi, nonostante non “creda” in parole come “risveglio”, “illuminati” ecc.
La figura degli “pseudo-intellettuali complottisti” faccio fatica a indentificarla sinceramente.
Un messaggio per Amalia e Chiara. La libertà citata da Dante è quella dal male e quella ricerca finisce solo nel momento in cui si termina la vita. Credo che Amalia intendesse, correggimi se sbaglio, con il tirare i remi in barca in merito alla propria azione nel mondo. Quando si diventa anziani (vorrei però dire che anziani non si diventa, ti ci fanno diventare) mancano le forze per promuovere il proprio modo di essere, tuttavia è necessario comprendere anche che la ricerca della libertà (la libertà è uno stato di coscienza interno che gorgoglia nella mente e nelle emozioni, non solo un fatto esterno) dura tutta la vita e, anche se ne siamo inconsapevoli, in ogni istante i nostri pensieri e sensazioni viaggiano nel mondo penetrando ogni essere. Siamo tutti collegati, non c’è via di scampo. 😉