Specchio dei nostri giorni, la sindrome da burnout riflette alla perfezione ciò che la nostra società è diventata: un mondo sempre più frenetico, dominato dalle logiche di mercato, dal capitalismo esasperato, da una grigia routine e da rapporti interpersonali spesso vuoti e alienanti. In una società in cui si vive per lavorare, la sindrome da burnout si manifesta con una vasta gamma di sintomi e può avere conseguenze psicologiche profonde, variabili a seconda della sensibilità e della personalità individuale. Tra i sintomi più comuni troviamo: forte stress, attacchi di panico, tristezza, apatia, frustrazione, insoddisfazione e, nei casi più gravi, depressione. Questo stato di esaurimento psicofisico, spesso accompagnato da disturbi del sonno e dell’appetito, può intaccare profondamente la qualità della vita, compromettendo le relazioni interpersonali e la capacità di svolgere le attività quotidiane.
Una sindrome che, come abbiamo detto, si nutre dei mali della nostra società, traendo sempre più linfa vitale dalla routine lavorativa, dall’ansia da prestazione imperante e dalla costante ricerca della perfezione. L’ombra che si allunga quando le aspettative superano le possibilità. Chi ne soffre si trova intrappolato in una spirale di competizione, di scalata sociale e di un’ossessione per il successo e il denaro, che lo portano a trascurare i propri bisogni vitali e le relazioni interpersonali. Una condizione schiacciante che spinge l’individuo verso l’isolamento, minando la sua autostima e i suoi legami affettivi. E il risultato non può essere che quello di un Ego frantumato, di una personalità ferita che fatica a risollevarsi dal baratro in cui è precipitata.
Chi è affetto da burnout tende a isolarsi dal mondo, guardando alla vita con un costante pessimismo e nutrendo una profonda sfiducia nelle relazioni interpersonali. La bassa autostima, il senso di colpa e la sensazione di fallimento sono compagni costanti, e alimentano un circolo vizioso di rabbia, risentimento e indifferenza. In una società che assomiglia sempre più a una società della stanchezza, ci ritroviamo a consumarci senza davvero vivere, intrappolati in un vortice di emozioni negative che ci impedisce di raggiungere la nostra piena potenzialità.
Bruciare per brillare: un tragicomico paradosso che consuma.
“Viviamo convinti che più lavoreremo e più gli altri ci considereranno in gamba. Siamo talmente concentrati su quel che guadagniamo e condizionati da un’idea ingannevole di successo da non riuscire più a vedere la controparte dello scambio: la perdita del tempo libero, il prosciugamento del tempo per oziare, così come facevano gli antichi saggi, per occuparsi delle cose “alte”, per coltivare i sentimenti, dare voce alla creatività e inseguire la propria evoluzione personale. Così poco avvezzi a riflettere su ciò che siamo e ciò che vogliamo, soffochiamo le domande sul nascere, rifugiandoci nel comfort dei falsi miti che ci sono stati inculcati fin da piccoli.”
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo”)
Ma la sindrome da burnout è molto più di una semplice sensazione di stanchezza. Si tratta di una patologia complessa e multifattoriale, che presenta numerose sfaccettature. Non tutti sanno, ad esempio, che il burnout non è causato esclusivamente dallo stress da sovraccarico lavorativo o da iperattività, ma può anche derivare da situazioni di stress da ipoattività. In altre parole, anche chi dispone di troppo tempo libero e si trova a rimuginare costantemente su eventi passati o problemi irrisolti può essere colpito da questa sindrome. È il caso tipico di coloro che vivono una condizione di noia cronica e sentono di non avere uno scopo nella vita. Questa mancanza di stimoli può generare ansia, pensieri ossessivi e, nei casi più gravi, vere e proprie paranoie. È fondamentale sottolineare che il burnout non è una questione di debolezza caratteriale, ma una risposta fisiologica a uno stress prolungato nel tempo.
“Uno dei sintomi dell’arrivo di un esaurimento nervoso è la convinzione che il proprio lavoro sia terribilmente importante.
Se fossi un medico, prescriverei una vacanza a tutti i pazienti che considerano importante il loro lavoro.”
(Bertrand Russell, “La conquista della felicità“)
Nel complesso, si tratta di un quadro davvero sconsolante. Una situazione che non può e non deve mai diventare definitiva, cronica. La sindrome da burnout non è una condanna: è possibile uscirne. Come? Innanzitutto ascoltando la voce silenziosa che grida di fermarsi.
Possiamo aiutare il nostro corpo e la nostra mente a rompere la routine, a guardare oltre la desolazione e l’angoscia che la società contemporanea spesso genera.
Uscire da una situazione di burnout significa riconquistare se stessi, riscoprire i propri bisogni e desideri, ristabilire un equilibrio tra lavoro e vita privata. Certo, è un percorso che richiede tempo e impegno, ma che porta con sé grandi benefici.
Solo fermandosi, si può ripartire più forti.
Solo ribellandoci al conformismo, creando una nostra personale scala di valori e coltivando un profondo rispetto per noi stessi, possiamo sconfiggere questo malessere dei tempi moderni.
Inseguiamo obiettivi di crescita personale significativi, non solo materiali.
Impariamo a gestire la routine e la noia che ci opprimono.
Nutriamo la nostra anima e la nostra mente.
Superiamo la nostra timidezza, investiamo nella gentilezza, nella correttezza e nell’integrità.
E soprattutto, amiamoci profondamente: solo partendo da noi stessi potremo costruire relazioni autentiche e sincere.
Come una farfalla deve liberarsi dal bozzolo per volare, così una persona deve liberarsi dal burnout per rinascere e vivere appieno.
Tra le dita, il tempo si sfila,
un filo sottile, quasi invisibile.
L’anima stanca, un peso sul petto,
ma un respiro profondo, apre il lucchetto.
Sento la terra, sento il mio cuore,
un battito lento, un nuovo valore.
Lascio andare, poco a poco,
ogni pensiero, ogni peso, ogni nodo.
In questa pausa, un nuovo inizio,
un seme che germoglia, un sorriso.
La luce filtra, un raggio di speranza,
e io rinasco, in un’eterna danza.
8 commenti
Finché si vivrà in un sistema economico-finanziario-monetario ispirato e guidato dal più selvaggio capitalismo (e mi fermo a questo, tralasciando i mali, sociali e individuali, che ne discendono)..un sistema in cui la proprietà della emissione monetaria (a debito e, per giunta, “ad interesse” nonché senza l’equivalente emissione monetaria a copertura del medesimo) è di proprietà ed è appannaggio di una elite (satanista, per giunta)…in cui, obtorto collo, la “competizione” è stata eletta a principio-guida ed a totale discapito della “collaborazione”… last but not least, si è perso non solo “Dio” (qualunque Esso sia) ma anche l'”idea stessa di Dio” (ergo, giocoforza, anche il conseguente “timor di Dio”, lasciando campo libero alla hybris umana) …in un tale, dicevo, sistema (socio-economico-politico-finanziario-religioso-etc.) qualsiasi discorso (per quanto encomiabile, apprezzabile, condivisibile, ecc.) serve a poco ed è destinato a rimanere, de facto, lettera morta.
Coindivido parte della tua riflessione, ma rimango dell’idea che anche vivendo in questo sistema si può trovare una soluzione. Certo, sarà individuale, non collettiva, non vi è una ricetta valida per tutti, ma se vogliamo una soluzione immediata, allora ognuno deve cercarla da sé, per come è impostata la sua esistenza, mettendo dei paletti qua e là, smussando gli spigoli e cercando di dare respiro a ciò che conta.
È sotto gli occhi di tutti quanto racconti Ivan eppure molti fanno orecchio da mercante, come si dice. Ognuno cerca a modo suo un riparo da ciò che accade, cerca soluzioni momentanee, cerca prodotti o rimedi ai propri mali e anche li trova, tuttavia sono momentanei. Risulta difficile restare in salute in un ambiente malsano o meglio in una società malsana. Ti puoi solo ritirare da essa, così come faresti in un litigio e tenendoti a debita distanza, aspettare. Prima o poi le cose cambieranno, la vita non ha fretta, ha tutto il tempo che vuole. Quest’anno ho voluto postare sul blog alcune riflessioni su aspetti che poco vengono considerati, poco quanto il mio blog. Ciò non è importante, tuttavia credo siano semi che un giorno forse fioriranno e daranno i loro frutti. Io non ho fretta, resterò a guardare lungo la riva, almeno fino a quando altri impegni mi porteranno via.
Paolo, come ho già scritto nel commento precedente, è innegabile che la società necessiti di un profondo cambiamento. Troppe dinamiche attuali generano solo disagio e sofferenza umana, e gli stessi individui sembrano sempre più assomigliare a ingranaggi di un meccanismo impersonale. Il rischio di un burnout collettivo è reale e incombente, e potrebbe portare a una disumanizzazione su larga scala. Purtroppo, questo scenario non è una prospettiva futura, ma una minaccia concreta del presente. Ecco perché è urgente, fin da ora, staccare la spina. Ognuno di noi dovrebbe iniziare da sé a interrompere questa spirale discendente, per contribuire a costruire un futuro più umano. L’esempio rimane, a mio avviso, il miglior insegnamento.
Infatti. Un profondo cambiamento nasce solo dai piccoli cambiamenti e i cambiamenti sono personali e, di attimo in attimo, dettati dalle scelte che ognuno fa. Questo è l’esempio. Purtroppo, l’esempio non viene visto dagli altri in quanto ognuno è chiuso o rinchiuso nel proprio mondo, nelle proprie strutture mentali e vede solo ciò che vuole vedere. Lo abbiamo già detto altre volte: l’essere umano cerca altari, leader, salvatori, soluzioni esterne ma non ce ne sono, sono tutti palliativi per andare avanti un giorno di più. Quando non riesce a sostenersi si fa prendere dal panico, dalla paura, dalla rabbia e dalla violenza, mostrando in questo modo solo ciò che è. Non c’è nessuna urgenza e non c’è nessuna minaccia, c’è solo ciò vogliamo che sia, sopra di tutto questo c’è l’esperienza. Anche la disumanizzazione non sarà eterna e porterà prima o poi ad una tensione interiore, così come non è mai stata vissuta, che sfocerà prima o poi in un ulteriore cambiamento, sempre personale. Dobbiamo domandarci invece cosa vogliamo realmente scegliere per la nostra vita, dove vogliamo andare e cosa vogliamo lasciare in eredità ai nostri figli. Siano essi di sangue o meno.
Sono pienamente d’accordo con questa tua riflessione Paolo. Grazie per averla scritta! Un abbraccio
Sarò breve. a proposito di inglesismi (sudditanza dilagante dalla lingua inglese) è stata decisa come parola chiave del 2024 ” brain rot” dall’Oxford English Dictionary, vale a dire cervelli in marciume. Sarà questo un motivo su cui meditare per ritrovare una propria autonomia interiore ed emergere da una fanghiglia che tende a dare spazio al negativo e che innegabilmente influenza il sociale. Non mi resta che augurare a tutti un percorso di vita consapevole apprezzando aspetti e bellezze che certe abitudini attuali purtroppo fanno passare inosservati.
Grazie Rosa, il tuo commento apre a ulteriori riflessioni e non conoscevo questa parola chiave del 2024. Un’altra prova di quanto stiamo scivolando verso il basso come società. Anche se è evidente e non resta che aggrapparci al bello, ai valori, a un “noi” da anteporre all'”io”, per risorgere da questa fanghiglia, come giustamente la definisci.