L’analfabetismo di ritorno in Italia è un problema in preoccupante crescita, tanto da essere chiaramente evidenziato dai dati della ricerca sulle “Competenze degli Adulti 2023” condotta dall’OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico) su un campione di 160.000 persone tra i 16 e i 65 anni residenti in 31 Paesi. In Italia, l’indagine è stata realizzata dall’INAPP su incarico del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
In sostanza, cosa rivela questa ricerca?
Essa evidenzia come il 35% degli adulti italiani comprenda solamente frasi brevi e semplici, ma non sia in grado di interpretare testi più complessi, articolati o di lunghezza superiore a una pagina, né di decifrare grafici, statistiche o di leggere un libro (la media degli altri Paesi dell’Unione Europea è del 26%).
In altre parole, ciò significa che nel nostro Paese, con una semplice operazione di calcolo, si può stimare che circa 13 milioni di persone (il 35% dei 37 milioni di italiani nella fascia d’età tra i 16 e i 65 anni) non siano in grado di leggere, comprendere e analizzare dati, testi o concetti complessi. Di conseguenza, queste persone non sanno e, cosa ancora più grave, non possono formarsi un’opinione autonoma, immaginare scenari non predefiniti o analizzare e valutare criticamente le idee altrui.
E pensare che viviamo in un’epoca in cui l’iperconnessione promette un accesso illimitato alla conoscenza. Eppure, serpeggia questo male silenzioso, subdolo, che corrode le fondamenta stesse della nostra capacità di comprendere il mondo: l’analfabetismo di ritorno. Non si tratta dell’ignoranza di chi non ha mai imparato a leggere e scrivere, bensì della tragica regressione di chi, pur avendo acquisito tali competenze, le ha lasciate atrofizzare, preda dell’oblio e della superficialità.
Questo fenomeno non è semplicemente la perdita della capacità di decodificare segni grafici. È molto di più: è la progressiva erosione del pensiero critico, la rinuncia alla complessità, l’appiattimento del linguaggio. L’analfabeta di ritorno non è colui che non sa leggere un libro, ma colui che, pur potendolo fare, non lo comprende.
«Viviamo schiacciati da un sovraccarico informativo che non sappiamo filtrare, che non sappiamo gestire, che non sappiamo più elaborare. Il grande paradosso della società tecnologica e globalista è che più aumentano le informazioni a disposizione e più labile si fa la nostra conoscenza.
Abbiamo sconfitto l’analfabetismo linguistico ma siamo del tutto impreparati di fronte all’analfabetismo funzionale.»
(Dal mio libro “Schiavi del Tempo”)
La filosofia, da sempre, ci invita a interrogarci sul significato dell’esistenza, sulla natura della realtà, sul valore della conoscenza. Ma come possiamo porre domande profonde se il nostro stesso strumento di indagine, il linguaggio, si è ridotto a un balbettio digitale? Come possiamo discernere il vero dal falso, il significativo dal banale, se abbiamo smarrito la capacità di leggere tra le righe, di cogliere le sfumature, di interpretare i silenzi?
L’analfabetismo di ritorno è una forma di auto-mutilazione intellettuale. È la rinuncia consapevole alla propria umanità, alla capacità di pensare autonomamente, di formarsi un’opinione basata su un’analisi critica della realtà. È l’accettazione passiva di un mondo preconfezionato, dove le informazioni ci vengono somministrate a dosi massicce, senza che ci venga richiesto alcuno sforzo interpretativo.
Questo fenomeno non è solo un problema individuale, ma una vera e propria piaga sociale. Una società composta da analfabeti funzionali è una società vulnerabile, manipolabile, incapace di affrontare le sfide del presente e del futuro. È una società che ha smarrito la bussola del pensiero, che si affida ciecamente a leader carismatici, a slogan vuoti, a semplificazioni grossolane.
Purtroppo ritengo che una grande responsabilità va attribuita alla diffusione all’uso degli smartphone e dei social. Dove l’attenzione è breve, i testi sono brevi e di conseguenza anche il cervello diventa a breve raggio.
Ma il problema non è solo ”non capire”.
Il problema è capire altro.
Abbiamo le scuole italiane che sembrano essere diventate sempre più simili a delle imprese, il cui finanziamento è spesso legato al numero di studenti iscritti. In questo contesto, il successo di un istituto viene misurato prevalentemente in base alle promozioni degli alunni o ai voti ottenuti all’esame di Stato, indicatori che, purtroppo, non sempre rispecchiano l’effettiva preparazione degli studenti. Per attrarre nuove iscrizioni, si organizzano “Open Day”, vere e proprie campagne pubblicitarie volte ad acquisire nuovi “clienti”. Parallelamente, si assiste a un incremento di certificazioni che attestano svariate patologie degli studenti, creando di fatto una sorta di “corsia preferenziale” che ne influenza la promozione, indipendentemente dal loro reale rendimento scolastico. Gli insegnanti, oberati da una mole crescente di scartoffie burocratiche da compilare e progetti da realizzare (spesso finalizzati a un ritorno economico per l’istituto), si trovano a dover gestire una situazione sempre più complessa.
A questo punto, sorge spontanea una domanda: senza voler necessariamente abbracciare teorie complottistiche, viene da chiedersi se la politica abbia realmente interesse a innalzare il livello culturale medio della popolazione italiana. Un cittadino con una scarsa istruzione è, infatti, più facilmente manipolabile e influenzabile nelle sue scelte. Diventa, quindi, più semplice convincerlo a spendere denaro in beni superflui e a votare per figure politiche poco competenti o, addirittura, dannose per il bene comune.
Ma l’analfabetismo di ritorno non è una condanna ineluttabile. C’è ancora speranza, e voglio fermamente crederlo. Ho deciso di scriverne perché la consapevolezza di questo problema cruciale è il primo passo, imprescindibile, verso la sua risoluzione.
Dobbiamo riappropriarci della ricchezza del linguaggio, riscoprire il piacere profondo della lettura, coltivare uno spirito critico e indipendente.
Dobbiamo educare le nuove generazioni al valore inestimabile della conoscenza, alla bellezza intrinseca della complessità, alla necessità vitale di interrogare il mondo che ci circonda, senza dare nulla per scontato.
È una sfida che possiamo e dobbiamo assolutamente vincere, non solo per preservare la nostra umanità, ma anche per costruire un futuro autenticamente democratico, un futuro in cui la conoscenza sia veramente accessibile a tutti, non solo in apparenza, con una patina superficiale, ma nella sua essenza più profonda e trasformativa.
Dobbiamo tornare a leggere, non solo le parole scritte, ma il mondo stesso, con occhi nuovi, curiosi e attenti, capaci di cogliere la bellezza e la complessità che ci circondano, spesso nascoste sotto la superficie dell’ovvio.
Solo così potremo veramente affermare di essere alfabetizzati, non solo formalmente, “sulla carta”, ma nel cuore e nella mente, con una consapevolezza che ci rende pienamente umani e cittadini attivi.
8 commenti
Grazie per questo articolo Ivan.
Ho sempre la pagina di Tragicomico aperta per aspettare una cruda verità ma al tempo stesso uno spiraglio di luce in questa società di lobotomizzati.
Stefano
Grazie a te, Stefano, per avermi letto e per la tua stima. Del resto, se scrivo, è proprio perché ci sono anime volenterose e desiderose di spunti di riflessione, pronte a cogliere i miei scritti come semi fecondi.
Allora al prossimo articolo! Buon tutto.
Purtroppo i giovani d’oggi non hanno la scuola che avevamo noi.
So che sembra stupido dire che io avevo il primo esame in seconda elementare. Poi in quinta elementare e se non eri promosso ripetevi la classe.
Poi esame in terza media. E se non eri promosso con professori che venuvano da altre scuole italiane ripetevi. Io studiavo e imparavo tante cose, addirittura alle superiori studiai Dante Alighieri.
Per esempio i sonetti dedicati a Beatrice..
Tanto gentile e tanto onestà
pare la donna mia quand’ella altrui saluta, che ogni lingua di viene muta e gli occhi non l’ardiscono di guardare.
Ella si va begnignamente d’umilta’ vestuta, mostrasi piacente a chi l’ammira che interder non la può chi non la prova…. ecc.
Sono passati 60 anni e ricordo ancora i sonetti a memoria.
La scuola era diversa e le superiori erano vere scuole.
Oggi è tutto approssimativo e i giovani sanno solo usare il cellulare e parlare su Facebook o altro simile.
Grazie Carmine, per questo confronto “epocale”. A mio avviso, però, non si tratta solo di stabilire se la scuola di oggi sia migliore o peggiore di quella di ieri, ma di comprendere come è cambiata e quali sono le sfide che deve affrontare per preparare al meglio i giovani al futuro. La vera sfida, forse, non è rimpiangere il passato, ma trovare un equilibrio tra la trasmissione di conoscenze fondamentali e lo sviluppo di competenze che permettano ai giovani di affrontare le sfide del XXI secolo.
Grazie della tua testimonianza, molto preziosa.
Caro ivan,nutrirsi di bellezza non è prerogativa di poeta e di pittore,ma di chi guarda il mondo con il cuore. Anche un tronco d’albero ormai riverso in marcescenza al suolo e di muschio e felci ricoperto,possiede una bellezza che non muore. By mari poetessa in erba. Anzi…in “erbacce”!!! grazie ivan per l’articolo, ma sopratutto per l’esortazione a guardare il mondo al di là dell’apparenza. Ce n’è sempre un gran bisogno
Grazie a te, Mari, per aver dato lustro alla poesia del cuore. E credo che, alla fine, sarà proprio la poesia a salvare questa umanità in forte declino.
Ciao Ivan, la tua è una importante riflessione che dovrebbe far riflettere soprattutto chi non riesce a leggere più di una pagina e a proposito di questo argomento, un amico mi disse dell’ultimo mio post dell’anno che era necessario semplificarlo, perché era troppo lungo per chi non è capace di leggere a lungo. Non ci pensai molto sul momento, almeno fino a quando ho letto la tua riflessione. Tuttavia, la domanda che mi pongo è: risulta possibile semplificare un concetto tanto da non banalizzarlo? Chi ha delegato la propria vita, mente, salute, fisico, interiorità ad altri, può essere davvero aiutato? Temo che la risposta sia no. Puoi essergli vicino, sostenerlo nelle difficoltà, ma niente di più.
Ciao Paolo, grazie per il tuo commento. Sai, mi chiedo anch’io quale sia il senso di scrivere articoli o libri, se poi, purtroppo, ci sono persone che fanno fatica a leggere e comprendere anche solo dieci righe. È una triste realtà, purtroppo, e temo che per molti questo sia un fenomeno ormai irreversibile. Proprio per questo, credo che non ci resti altro da fare se non provare a educare le nuove generazioni alla lettura e al sapere sperimentato in prima persona, cercando di instillare in loro l’amore per i libri e la curiosità verso l’apprendimento. È una sfida estremamente ardua, lo ammetto, ma credo sia fondamentale non arrendersi e continuare a promuovere l’importanza di ciò che non è ovvio e scontato.